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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2014 alle ore 07:08.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2014 alle ore 07:38.

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In Italia ci capita di essere affetti da un particolare provincialismo: siamo così smaniosi nel voler applicare le mode degli altri paesi che ogni tanto riusciamo a reimportare ciò che noi stessi abbiamo inventato, esportato e insegnato. Esempi: le banche, il cinema e gli acceleratori di start up (oggi si chiamano così, sono i nostri distretti industriali nella loro infanzia). Ci critichiamo l'ombelico, mentre il mondo ci guarda con ammirazione, solo non capisce perché abbiamo sempre la testa bassa.

La scorsa settimana The Economist, sobrio, ultraliberale e noto per il suo sottile piacere a fustigare l'Italia, ha scritto nei leaders un elogio alle imprese familiari: «Ci sono importanti lezioni da imparare dalla sorprendente forza delle imprese familiari». Certo non manca una stoccata a Luxottica, ma nella sostanza viene riconosciuto che il capitalismo familiare, su cui si basa il nostro sistema industriale, ha parecchio da insegnare a un mondo «finanziarizzato». Il fatto che le grandi economie emergenti, Cina, Asia, Sud America, siano permeate dello stesso tipo di capitalismo ne ha aiutato il prepotente ritorno nelle discussioni. Forse in quei paesi c'è meno interesse per il proprio ombelico. In Italia il 60% delle imprese quotate e il 50% di quelle con più di 50 milioni di fatturato sono possedute da famiglie imprenditoriali; questo è il nostro capitalismo.

Nei primi mesi di governo, Matteo Renzi non ha mancato di criticare una parte del nostro capitalismo erigendosi a rottamatore del capitalismo di relazione. È possibile che un pezzo marcio di capitalismo abbia fossilizzato alcuni settori, ma è il mutato contesto macroeconomico che lo spazzerà via: dall'euro alla vigilanza bancaria europea. Intanto gli imprenditori che hanno portato i loro prodotti all'estero quando le svalutazioni della lira li aiutavano, continuano a farlo in un «mondo piatto» dove i vantaggi li hanno altri. Il capitalismo familiare ha già i suoi rottamatori: sono le nuove generazioni che si fanno spazio in azienda, che adattano prodotti e organizzazioni al mutato contesto, che lottano per rompere con il passato e andare in giro per il mondo a confrontarsi con i concorrenti.

Sono processi lenti e silenziosi, ma fanno crescere gli alberi che formano la foresta del nostro sistema industriale: certo fanno più rumore quei pochi alberi che cadono, ma sarebbe sbagliato concentrarsi su ciò che fa più rumore. Il nostro Pil è formato da migliaia di imprese familiari e le nuove generazioni che lottano per svilupparle sono la miglior garanzia del benessere futuro. La sfida della continuità in queste imprese è la chiave per il futuro. La crescita nelle aziende di famiglia avviene attraverso l'evoluzione dell'esistente, i prodotti che hanno avuto successo sono adattati ai mutati gusti del consumatore e ai cambiamenti dell'arena competitiva. La Nutella è nata dalla Supercrema con cui il papà di Michele Ferrero aveva costruito il successo dell'azienda; ci volle coraggio per «rottamare» la Supercrema. Credo che qualcosa mancherebbe al nostro Paese se il signor Michele, invece di investire i denari della sua famiglia e la sua vita in azienda, avesse chiesto a qualche investitore straniero di farlo. Oggi tanti giovani hanno questo coraggio nelle loro aziende.

Come Renzi ha rottamato e avviato il cambiamento da dentro il suo partito così queste nuove generazioni di imprenditori lavorano dentro le loro aziende di famiglia con passione e rispetto per l'esistente ma con la voglia di cambiare, adattare, crescere. In entrambi i casi la forza dei principianti è chiave per il successo; perché i principianti riescono a realizzare cose impossibili, perché non hanno ancora imparato che «sono impossibili».

Guardando solo agli alberi che cadono, si può marchiare la colonna vertebrale del nostro sistema industriale come vecchia ed asfittica. La realtà è che quando andiamo all'estero siamo l'Italia e i nostri imprenditori, anche (se non soprattutto) i giovani, sono rispettati dai concorrenti e dai mercati finanziari. Il bello del capitalismo è che, se queste nuove generazioni non saranno all'altezza, non ci sarà bisogno della rottamazione: la Distruzione Creatrice opera da prima che Schumpeter la scoprisse. A noi resta di decidere se vogliamo affrontarla a testa alta o guardandoci l'ombelico.

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