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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2014 alle ore 07:13.
L'ultima modifica è del 19 novembre 2014 alle ore 09:25.

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Chi legge il comunicato finale del Vertice G20 di Brisbane e l'allegato Brisbane Action Plan (15-16 novembre 2014) non ha affatto l'impressione di un'economia mondiale dove tutto va male. Né c'è l'idea che dobbiamo rassegnarci a non crescere, perché la nuova normalita' lo richiede (vedi F. Debenedetti sul Sole 24 Ore del 16 novembre). È vero il contrario. C'è alla base di quest'ultimo vertice del G20 la dichiarata fine di un'altra “Grande illusione”, quella cioè che la crescita fosse una sorte di bene pubblico.

Un bene che appartiene a tutti e a ciascuno, che lo si voglia oppure no. E c'è quindi l'onesto ed esplicito riconoscimento che la crescita ce l'ha chi se la merita, cioè realizza le riforme e attua politiche che “producono” crescita, quanta se ne vuole: per sé e il prossimo. Ma davvero, è in arrivo una “stagnazione secolare”?
A leggere i documenti del G20 non si ha questa impressione. Al contrario, si sostiene che in gran parte del mondo le cose sono quest'anno migliorate e che questo miglioramento è previsto proseguire. I problemi più seri riguardano solo Giappone ed Eurozona. Aree importanti (di certo per l'Italia che vi appartiene), ma pur sempre solo una parte dell'economia globale. Se questa diagnosi è condivisa è anche chiaro che gran parte delle ricette che seguono riguardano soprattutto noi. Sempre in termini di diagnosi: cos'hanno in comune Giappone ed Eurozona, condizionando moltissimo ogni giorno i mercati finanziari? Il paradossale contrasto che c'è tra problemi sostanzialmente reali e rimedi «facili», sempre auspicati e sostanzialmente monetari.
Sarebbe tutto così semplice, se solo la Bank of Japan e la Bce si decidessero a raddoppiare la dimensione del proprio bilancio. È quanto i mercati finanziari ogni giorno aspettano per riuscire a investire - ovunque convenga - quella maggior liquidità. Anche per questo, in tanti scommettono sulla capacità del governo giapponese (magari dopo nuove elezioni) di riuscire a fare con la moneta ciò che non è riuscito a fare con la famosa, mai vista «terza freccia». Ed anche per analoga miopia, tanti sperano che il presidente della Bce sconfigga la Bundesbank ed inondi il mondo con tanta nuova liquidità.

A ben guardare, da Brisbane è arrivato un messaggio diverso, molto più vicino a quanto Draghi ha detto tante volte. Ed è interessante osservare che con argomenti molto simili l'allora ministro del Tesoro Guido Carli, presentando al Senato italiano l'avvenuta firma del Trattato di Maastricht (febbraio 1992) assicurava che avremmo così' avuto i benefici di una buona “economia di mercato” - governata da buone regole e da una finanza pubblica rispettosa dei diritti delle nuove generazioni. Carli lasciava a noi il compito di realizzare tutto ciò, nel nostro esclusivo interesse, certo non nell'interesse della Germania (come qualcuno va dicendo, ignorando cosa sia una moneta e cosa rappresenti una unione). Se leggiamo con cura il testo di Brisbane, vediamo che le azioni da realizzare (noi siamo in ritardo, da 20 anni!!) sono ancora quelle che promuovono la competizione, aprono le economie ai benefici degli altrui investimenti, garantiscono efficienza in ciò che spetta alle pubbliche amministrazioni realizzare. Insomma, tutto ciò che nell'interesse delle future generazioni, ci era stato promesso come beneficio della maggior integrazione europea - favorita dall'indissolubilità di una unione basata su una moneta comune. Non dovremmo rinunciarci tanto facilmente, come abbiamo fatto negli anni scorsi.

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