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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 07:47.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2014 alle ore 09:35.

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L'Europa rischia la deflazione perché ha sbagliato, e continua a sbagliare, la sua politica: quella economica in primis, ma anche quella che definisce i rapporti tra gli Stati membri. È il concetto sul quale si sono mostrati d'accordo economisti e imprenditori al secondo appuntamento del forum di Banca Passadore, tenutosi ieri a Genova. All'incontro hanno preso parte il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il numero uno di Barilla Group, Guido Barilla, e gli economisti Marco Vitale e Jean-Paul Fitoussi.

È s stato quest'ultimo a indirizzare il confronto sulle responsabilità delle scelte europee nella crisi in atto. Fitoussi ha anche lanciato l'idea che, per superare l'impasse, si debba arrivare, al più presto, a una vera unione federale dell a sUe e all'emissione di un titolo unico di debito europeo.
L'Europa, ha detto Fitoussi, «sembra aver deciso, dopo anni di stagnazione, di far entrare l'economia in deflazione. E lo fa perché non è davvero democratica. In una democrazia, infatti, quando le cose vanno male c'è modo di cambiare: si sostituisce il governo e muta, di conseguenza, la politica. Nella sUe, invece, si può cambiare il governo ma non la politica, che è predeterminata dai trattati che hanno tolto ogni potere agli esecutivi nazionali. I quali non possono avere una politica valutaria e industriale». Una situazione che, secondo, l'economista, impedisce ai singoli Stati di fare interventi strutturali, spingendoli ad «aumentare la competitività abbassando i salari. Ma non è una buona idea abbassare i salari quando non c'è domanda. Le aziende, non avendo mercato, devono abbassare i prezzi e questo porta alla deflazione. Il vizio capitale dell a sUe è che il debito è sovrano ma la moneta non ha sovranità: gli Stati si indebitano con una divisa su scui non hanno controllo. Si è fatta una moneta unica per rendere impossibile la speculazione. Ora ci vorrebbe un unico titolo di debito pubblico. E occorre dare alla Bce le prerogative che hanno tutte le altre banche nazionali: stampare moneta per finanziare gli Stati. Questo, però, significa che dobbiamo avere, nella sUe, una situazione federale. Abbiamo concepito, infatti, un Paese con S stati federati ma non c'è uno Stato federale. Siamo andati molto avanti con l'Europa. Ora, o si fa un ulteriore passo in avanti oppure si rischia di farne uno indietro.

Anche Squinzi si è mostrato in linea con queste posizioni. «Credo - ha detto - nell a sUe e sono convinto che si debba tendere agli S stati uniti d'Europa. Ma sono esterrefatto dalla circostanza per cui l'Unione, che è l'area più avanzata al mondo per conoscenza, tenore di vita, welfare e molto altro, è tuttavia l'unica zona che non riesce a crescere. Occorre un esame di coscienza».
Secondo il leader di Confindustria si è arrivati a questa situazione perché « sl a sUe non è stata capace di unificarsi». Occorre, ha aggiunto Squinzi, «che la Bce abbia il ruolo che le spetta e ci vuole anche un'armonizzazione della politica fiscale, del welfare, del lavoro e delle politiche energetiche. Con il trattato di Lisbona, ad esempio, si disse che il 3% del Pil Ue doveva andare in ricerca e innovazione. Ma questo è stato disatteso. La Ue, invece, deve tornare a fare investimenti su cose che danno ritorno. Ad esempio ricerca e dotazioni infrastrutturali». Su quest'ultimo punto Squinzi ha ricordato la situazione diff i scile dell'Italia che «ha accumulato un deficit infrastrutturale incredibile. Basta con il patto di stabilità per i Comuni. Dobbiamo diventare un Paese snello ed efficiente e investire su infrastrutture, ricerca e internazionalizzazione delle imprese. Le aziende che vanno bene, infatti, sono quelle che hanno un alto valore di export e sono internazionalizzate. Se non si cambia, questo Paese è destinato a un declino , s forse lento ma inesorabile». Riguardo, poi, alle aziende colpite dalle alluvioni in Liguria e in altre regioni italiane, Squinzi ha sottolineato che la situazione «è molto critica e complessa» e per questo «mi impegno a presentare una relazione precisa sulla situazione venerdì mattina (domani per chi legge, ndr) al presidente del consiglio, Matteo Renzi».

Al premier parlerà oggi anche Barilla, in occasione della visita del capo del governo alla sua azienda. «Parleremo - ha affermato l'imprenditore - del "protocollo di Milano", che riguarda alcuni casi della filiera alimentare di cui occorrerà farsi carico. Dirò a Renzi che c'è urgenza di operare su alcuni temi in modo coraggioso». Barilla ha poi ricordato che la situazione, per le imprese italiane, con il Paese sull'orlo della deflazione, è diventata «quasi di insostenibilità». Per la prima volta, ha aggiunto, «si rileva una decrescita dei consumi alimentari. Bisogna abbassare la testa e lavorare, sviluppando e seguendo poche idee ma molto chiare. Il Paese, però, deve avere una direzione precisa e strategica». Ma al governo spetta il coraggio di «fare le cose di cui l'Italia ha bisogno», anche con scelte scomode, e che «portano necessariamente a scontrarsi con un a s diminuzione del consenso».
Vitale, da parte sua, ha affermato che l a sUe sta preseguendo «una politica economica che non funziona. Sono stato sempre un sostenitore dell'Unione ma questa Europa va rottamata. E gli Stati devono assumersi, insieme, la responsabilità di dire che la linee politiche di fondo vanno cambiate. Altrimenti vinceranno i Le Pen e i Salvini».

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