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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2014 alle ore 07:14.
L'ultima modifica è del 21 novembre 2014 alle ore 08:53.

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«L'amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra», scrisse Primo Levi in La chiave a stella (1978), uno dei pochi romanzi italiani di letteratura industriale. Di amore per il lavoro, su cui si costruisce l'identità e la dignità di un individuo, parla Triangle di Costanza Quatriglio, documentario che passerà il 26 novembre al Torino Film Festival (da oggi fino al 29 novembre nel capoluogo piemontese) nella sezione "Diritti &Rovesci".

Triangle racconta questo sentimento per sottrazione attraverso esempi deleteri di etica del lavoro. Lo fa dando voce a due stragi che hanno colpito lavoratori tessili a distanza di cento anni. La prima, avvenuta nel 1911 alla "Triangle" - da cui il titolo del documentario -, fabbrica di camicette in cui il 25 marzo divampò un incendio che fece 146 vittime, 123 donne e 23 uomini, per lo più immigrati, chiusi a chiave all'ottavo piano di un grattacielo newyorkese. Fu uno dei fatti che portarono all'istituzione della festa dell'8 marzo. L'altro evento è il crollo di una palazzina a Barletta il 3 ottobre del 2011, dove persero la vita cinque donne, dai 36 ai 14 anni, in un maglificio di cui nessuno conosceva l'esistenza perché le operaie vi lavoravano in nero.
Quatriglio mette in parallelo le storie attraverso testimonianze di sopravvissuti del 1911 e del 2011, con un montaggio di materiali d'archivio di grande impatto, come già fece in Terramatta, nastro d'argento nel 2012, basato sul diario "di disonesta vita" del soldato Vincenzo Rabito. Dalle dichiarazioni di tre superstiti newyorchesi, scovate al "Ladies' Garment Workers' Union Archives", traspare il prevalere del divertimento dello stare assieme a dispetto della misera paga per il lavoro a cottimo, retribuito 12 dollari alla settimana senza riposo. Emerge anche il clima di vigilanza stretta sui furti (la porta era chiusa per controllare uno ad uno gli operai all'uscita) e il terrore delle donne, tra cui molte bambine, che davanti alle fiamme si buttavano dalla finestra. Quatriglio sdoppia le immagini di repertorio, quasi a dimostrare l'ambiguo dualismo dignità/necessità che fa il paio con quello diritti/doveri.

A raccontare Barletta è Mariella Fasanella, l'unica uscita viva dalle macerie. Come gli operai della "Triangle" affiora la gioia di andare al lavoro per stare con le amiche e colleghe, la fierezza della propria abilità lavorativa: «L'operaia ha tante responsabilità sulla macchina, io le parlo nella mia mente, è come se facessi una nuova conoscenza». Ma anche la completa ignoranza dei propri diritti: «Mi teneva in nero, ma stavo bene, in famiglia», e ancora «e che il palazzo non crollava se stavamo in regola?». Dopo l'episodio del 1911 vennero varate negli Stati Uniti nuove leggi sulla sicurezza del lavoro e aumentò il peso dei sindacati in un crescendo che passato attraverso «il taylorismo, il fordismo e le lotte», come ricorda Quatriglio che si è occupata anche di diritto alla salute sul lavoro in Con il fiato sospeso, vincitore del premio "Gillo Pontecorvo" nel 2013, indagine sul legame tra alcuni decessi e l'insalubrità degli ambienti della facoltà di Farmacia a Catania. Conquiste del '900 che non sono arrivate a Mariella, che dal lavoro nero è passata al «part time a pezzo», al cottimo di cento anni fa alla "Triangle". Nell'era della globalizzazione e forse proprio a causa di questa, perché come spiega Mariella: «Arrivava il titolare e diceva, domani non si lavora. Si dispiaceva lui stesso».

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