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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2014 alle ore 08:28.

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In Italia esistono 96 università (comprese undici telematiche) con corsi attivati in almeno 200 sedi: quasi il doppio dei capoluoghi di provincia. Ogni città, negli ultimi vent'anni, ha preteso di avere l’università, la fiera, l’aeroporto, nell’illusione di diventare un polo importante in grado di attrarre investimenti. Hanno invece spesso accumulato perdite, in assenza di massa critica e di economie di scala. I giovani, quasi prolungando il liceo, hanno creduto di acquisire competenze elevate e lauree spendibili sul mercato del lavoro, restando in casa dei genitori ben oltre l’età media dei coetanei europei e americani. L’impatto negativo sulla mobilità fisica e sociale è sotto gli occhi di tutti.
Il colpo di grazia all’ormai insostenibile università sotto casa potrebbe paradossalmente arrivare dall’università ovunque, con i Mooc gratuiti. I Massive Open Online Courses sono accessibili con estrema facilità e la loro offerta si adatta rapidamente alla domanda del mercato. La diffusione è stata impressionante. Dopo un corso sull’intelligenza artificiale offerto dall’Università di Stanford a fine 2011, seguito da 160mila utenti, il fenomeno è esploso, con migliaia di corsi e milioni di utenti oggi nel mondo. La crescita stimata per i prossimi cinque anni è del 60% l’anno.

Come in altri settori, anche nell’istruzione universitaria e post-universitaria è in atto un fenomeno di polarizzazione. Da una parte le top school sempre più esclusive, costose e inaccessibili ai più: un solo anno a Oxford e Cambridge o nelle Ivy League americane come Harvard, Yale e Princeton costa almeno 50mila dollari. All’altro estremo la rivoluzione dei Mooc, che mette in pericolo migliaia di università senza il prestigio, gli insegnanti, le infrastrutture delle top school. Negli Stati Uniti c’è chi sostiene che i Mooc uccideranno le università tradizionali di fascia media e medio-bassa. Forse si tratta di un’esagerazione, ma cresce la pressione sulle università pubbliche, perché accettino i crediti dei corsi completati online, e l’American Council on Education fa aperture in questa direzione.
La sfida riguarda anche le università italiane. Nulla esclude che atenei americani, inglesi o coreani aprano “filiali” in Italia per offrire corsi di qualità a costi sostenibili. La didattica universitaria sarebbe rivoluzionata e non tutte le università tradizionali sopravvivrebbero. Come sempre accade, i grandi cambiamenti sono fonte di rischi, ma anche di opportunità, a patto che le si sappia cogliere. Un’opportunità senza precedenti si presenta a milioni di giovani dei Paesi in via di sviluppo, che non avrebbero alcuna possibilità di accesso alla higher education. Ma anche le università italiane hanno diverse opportunità, se sapranno adeguarsi alla novità senza subirla: dalla riduzione dei costi all’ampliamento del bacino di utenza, sia geografica che per fasce d’età. I Mooc sono infatti particolarmente adatti alla formazione permanente (il cosiddetto life long learning) di professionisti, dipendenti pubblici e privati, persone in fase di ricollocazione nel mondo del lavoro. E su certi temi l’Italia può essere leader. Sda Bocconi ha appena lanciato un Mooc su moda e lusso, raccogliendo in pochi giorni oltre 20mila iscrizioni da 157 Paesi.

I corsi online rappresentano solo una delle tante sfide dell’università, dal collegamento con le imprese nel campo della ricerca, alla capacità di attrarre risorse private, studenti e docenti dall’estero, attraverso la trasparenza delle carriere e il riconoscimento del merito. L’università italiana deve decidere se vuole confrontarsi seriamente con i processi d’innovazione radicale, in atto nelle università del mondo sviluppato. Ridurre il numero delle sedi è un passo importante per prepararsi alle nuove sfide, concentrando risorse, eliminando sprechi e spingendo i giovani ad andare a studiare fuori sede.

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