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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2014 alle ore 08:17.

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Nel mondo policentrico, globalizzato e interconnesso l’Europa somiglia a una “nonna”. Papa Francesco - il primo pontefice non europeo da dodici secoli - parla al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa, e mette a fuoco la realtà complessa non di istituzioni, ma dell’intero continente. «Accanto a un’Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno eurocentrico. A un’Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto».

Il precedente pontefice che parò da questo palco fu Giovanni Paolo II, nel 1988: anche se il muro di Berlino già scricchiolava l’ordine mondiale nato nel dopoguerra era ancora ben saldo e chi parlava era un papa figlio di quelle radici ebraico-cristiane che la stessa Europa politica, ormai largamente secolarizzata, non ha mai riconosciuto. Un quarto di secolo dopo tutto o quasi è cambiato (anche in Vaticano). «Nel corso degli ultimi anni accanto al processo di allargamento dell’Unione è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose.

Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato il Vecchio Continente sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni». Insomma, una forte scossa ideale a riscoprire le radici profonde dei fondatori. Le emergenze sono molte, a partire dai giovani: «È tempo di favorire le politiche di occupazione ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento», un’azione che implica «reperire nuovi modi per coniugare flessibilità del mercato con la necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori, e significa favorire un adeguato contesto sociale che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire attraverso il lavoro la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli».

Dignità del lavoro quindi, come base della convivenze della crescita: «Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, il lavoro che lo unge di dignità? Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici», ha detto il Papa in un passaggio molto applaudito.

Lavoro, ma anche protezione dei migranti, richiamando quanto detto nel luglio 2013 a Lampedusa, frontiera sud del continente: «È necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali».

Il viaggio lampo di ieri ha preceduto di tre giorni quello in calendario in Turchia da venerdì a domenica, paese che confina con la guerra in corso in Siria e Iraq, dove si consumano le stragi dei cristiani per mano del cosiddetto Califfato. Sul tema spinoso di un possibile dialogo con l’Isis, il Papa ha lasciato le porte aperte: «Io non dò mai per persa una cosa. Non so se si può dialogare con lo Stato Islamico, ma io non chiudo mai una porta. La mia porta è sempre aperta».

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