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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2014 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 28 novembre 2014 alle ore 09:15.

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Internet delle cose è l'ultima traiettoria scaturita dalla terza rivoluzione industriale (Informatica). Le sue parole chiave (interconnessione e prodotti intelligenti) sono un invito a ripensare la nostra politica industriale per la competitività.

Internet delle cose è una quasi-rivoluzione che porta a riprogrammare molti oggetti (merci) e servizi in funzione di consumatori-utenti che interagiscono tramite servizi di rete con questi “prodotti intelligenti” (dalle magliette contenenti sensori della salute, agli elettrodomestici comandabili da smartphone lontano da casa, fino alla fabbrica digitale dotata di 3D printing con manifattura “additiva” (che parzialmente si sostituisce a quella “sottrattiva”tradizionale), ai servizi medicali, alla autodiagnosi di assistenza dell'automobile e così via.
Come spiega l'ultimo numero della Harvard Business Review Italia, prodotti composti da parti elettriche e meccaniche diventano sistemi complessi che combinano hardware, software, sensori di controllo, archiviazione dei dati e connettività in modi infiniti. Sono ridisegnati i tradizionali confini merceologici di settore, per cui ad esempio la macchina agricola deve interagire con i sistemi di irrigazione e le previsioni meteo.
La competitività di un prodotto si basa così meno sul prezzo e sempre più sulla differenziazione delle prestazioni. Prodotti intelligenti interconnessi possono disintermediare l'impresa dai suoi fornitori abituali e accrescerne il potere di mercato, ridurre la dipendenza dell'utilizzatore per consigli e assistenza dal produttore e imporre al produttore un riesame del proprio posizionamento nelle “catene globali del valore”. In progettazione e produzione, agli ingegneri meccanici devono affiancarsi sempre più ingegneri di software applicativo e integratori di sistema esperti in architetture informatiche, gestione di “big data”, sistemi informativi interconnessi tramite la “nuvola”.

Tutto ciò ha non poche implicazioni per il disegno della nostra politica industriale. Il programma di governo sembra ancora una volta ridursi alla somma dei soliti (modesti) incentivi a pioggia all'acquisto di macchinari e software (nuova Sabatini, credito d'imposta su nuovi investimenti fissi) e agli sgravi fiscali sulle spese in ricerca e sviluppo, il cui effetto di stimolo a investimenti privati aggiuntivi resta dubbio e comunque si esaurisce in pochi mesi. Per rincorrere la concorrenza sempre più aspra degli altri Paesi avanzati (ma ormai Cina, Corea e altri Paesi asiatici investono a passi da gigante nelle nuove tecnologie) l'Italia deve decidersi a valorizzare sul serio quel patrimonio di competenze tecnico-scientifiche (a cominciare dai nostri ingegneri, chimici, biologi, fisici, medici, matematici, informatici) che è unanimemente apprezzato dalle maggiori imprese multinazionali, ma la cui domanda interna resta troppo debolmente alimentata da un tessuto iper-frammentato di piccole e medio-piccole imprese. Per non parlare delle organizzazioni pubbliche di ricerca di cortissimo respiro: centinaia di parchi scientifico-tecnologici e “incubatori”, nati molte volte per ambizioni immobiliari e di immagine degli enti locali promotori, iniziative asfittiche che non riescono a partorire campioni vincenti e aggregazioni imprenditoriali territoriali in grado di attrarre investitori nuovi dinamici e lungimiranti.

I finanziamenti a pioggia accontentano tradizionalmente i desideri delle rappresentanze datoriali nazionali e locali. Ma una componente significativa degli incentivi di politica industriale andrebbe finalmente allocata dal governo (come già avviene nei liberisti Usa, Germania e Regno Unito) a pochi grandi progetti trasversali di ricerca precompetitiva, per sfruttare i vantaggi competitivi potenziali del Paese favorendo massa critica di imprese e centri di ricerca . L'avvento dell'Internet delle cose è una occasione importante anche per noi. Ampi spazi per coinvolgere le eccellenze tecnico-scientifiche dell'Istituto italiano di tecnologia (R.Cingolani), con alcune Università e Politecnici e taluni istituti del Cnr. Nessuna nostalgia per quel “disastro da non replicare” (Calenda, Sole24Ore, 11.11.2014) che fu il programma “Industria 2015”, morto sulla pista di decollo per colpa di avvicendati miopi e inesperti ministri, e della fantasia perversa dei gabinetti e delle burocrazie ministeriali.

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