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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2014 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 29 novembre 2014 alle ore 09:52.

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Nel 2015 scadono 141 miliardi di BTp. Annata di rimborsi pesanti, alleggerita se il costo del rifinanziamento del debito resterà ai minimi storici. Ma i mercati sono perplessi: chi compra BTp decennali sotto il 2%?

I l rischio-Italia, depurato dall'aspettativa del quantitative easing con acquisto di titoli di Stato della Bce, non vale quei 132 punti di spread contro Bund toccati ieri mentre il BTp decennale galoppava verso la soglia al ribasso del 2% incurante dello stato di affidabilità del paese-debitore. Per i mercati non li vale, quei 132 bps di spread, a causa della gran parte dei motivi che già nel 2011 portarono il gap tra Italia e Germania a quota 575. Due motivazioni in cima: un altissimo stock di debito pubblico (133% del Pil) abbinato a recessione e crescita potenziale asfittica. Uno sviluppo economico depotenziato da scarsa competitività, debole produttività, lento cammino delle riforme strutturali, instabilità politica (confermata dalle elezioni regionali in Emilia Romagna con Matteo Salvini vero vincitore), e l'inasprimento delle tensioni sociali con la disoccupazione record al 13,2% rimarcata ieri dall'Istat. Tutto questo di norma allontana gli investitori non residenti dalle aste dei titoli di Stato. E continuerebbe a farlo sui BTp in questi stessi giorni, se l'Italia non si trovasse nell'eurozona.

Il rischio-Italia, nell'area dell'euro, non è più una faccenda puramente domestica. Prima il Securities markets programme (quando tra fine 2011 e inizio 2012 la Bce acquistò fino a 100 miliardi di BTp), poi la creazione dei fondi salva-Stati Efsf/Esm, a seguire la minaccia delle OMTs di Mario Draghi (outright monetary transactions per prevedere l'acquisto dalla Bce di titoli di Stato dei Paesi che ottengono aiuto all'Efsf/Esm), ora il Piano Juncker per finanziare le infrastrutture che lo Stato italiano non può permettersi di pagare con soldi pubblici e in prospettiva il QE esteso ai sovereign bonds (formalmente sul tavolo per contrastare il rischio di deflazione e deprezzare l'euro).
Finché l'Italia si mantiene saldamente ancorata all'euro, all'eurozona, ai partners europei, il rischio-Italia scompare – temporaneamente – dagli schermi dei traders mondiali in BTp e dagli investitori esteri interessati ad asset italiani. Chiara Cremonesi, strategist di Unicredit, sottolinea come per la prima volta quest'anno gli stranieri abbiano assorbito con maggiori acquisti le emissioni nette (al netto dei rimborsi) dei titoli di Stato italiani. I portafogli esteri sono ancora lontani dai picchi degli holdings in BTp, ma quest'anno – annata che ricorda l'euforia dell'euroconvergenza (anche in quel caso i fondamentali pesavano poco) – la caccia all'”alto” rendimento li ha spinti sui titoli italiani, volenti o nolenti.

Il risultato delle elezioni in Emilia Romagna, per la sorprendente ascesa del Salvini anti-europeista, non è proprio quello che si dice “market-friendly”. Una delle domande che puntualmente mi pongono i gestori di fondi esteri, soprattutto non europei, è se l'Italia, se gli italiani, sono favorevoli all'euro oppure sono contro l'euro. La moneta unica è un esperimento in corso d'opera e per quanto la Bce difenda a spada tratta l'euro, saranno i cittadini europei con il loro voto a garantirne la sopravvivenza. Il voto di protesta al M5S non aveva impensierito i mercati, neanche quando Grillo urlava nelle piazze “abbasso l'euro” e “ristrutturiamo il debito pubblico”. Altra cosa è Salvini che trasforma abilmente la disoccupazione in antieuropeismo e stringe larghe intese con personaggi come Marine Le Pen.

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