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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 30 novembre 2014 alle ore 14:21.

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Il nostro Paese è un grande Paese, che ha bisogno di riforme strutturali, che stimolino la crescita e ridiano fiducia a chi è scoraggiato e deluso, ma soprattutto che diano a chi ha voglia di fare. Se così è, (ed è così!) allora occorre approvare in fretta - ma bene - la riforma del terzo settore. È cosa buona e giusta, necessaria per fare capire a tutti che le realtà del terzo settore esprimono l’autonoma iniziativa che viene dalla società per generare bene comune: ne deriva che “pubblico” non coincide con statale, ma è il servizio offerto, a prescindere da chi lo eroga, se è finalizzato al bene comune. Per questo motivo, abbiamo ribadito al ministro Pier Carlo Padoan e al sottosegretario al lavoro Luigi Bobba, padre della riforma e “sussidiario” senza alcun dubbio che Riforma Terzo Settore necessita di una rinnovata collaborazione pubblico/privato e di un fisco amico per chi investe nelle attività che sviluppano innovazione sociale. Lo abbiamo fatto nel seminario dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, che dal 2003 è il luogo nel quale parlamentari di tutti i partiti lavorano per produrre una proficua azione culturale e politica, dentro e fuori dal Parlamento. La riforma del terzo settore, in discussione alla Camera,è stato il focus di due giorni di lavoro che hanno visto la partecipazione attiva di oltre 40 deputati e senatori. Otre al confronto con Padoan e Bobba abbiamo ascoltato e dibattuto i contributi di Giorgio Vittadini, fondatore e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e di Geoff Mulgan, policy maker tra i più innovativi d’Europa, che ha lavorato con noi sviluppando il concetto di social innovation che sta portando avanti in Gran Bretagna.

Sussidiarietà è un termine difficile e complicato, la cui traduzione nella realtà italiana è semplice, come ha certificato l’Istat: 301.000 realtà associative, in prevalenza piccole e medie, il 47% delle quali si finanzia offrendo beni e servizi ai cittadini, e le cui entrate sono generate solo per il 35% da fondi pubblici, il resto viene dai privati. Tutto ciò genera il 4,2% del Pil, con 700.000 persone che ci lavorano e oltre quattro milioni di volontari.

Il premier Matteo Renzi mesi fa ne aveva definito il non profit (chiamato Terzo settore, dopo Stato e Mercato) come il “primo” settore e i numeri lo dimostrano. Si tratta ora di liberare compiutamente l’enorme potenziale che l’economia sociale porta in sé, creando un ambiente legislativo chiaro, con norme fiscali certe e stabili, che consentano di investire denaro e risorse umane nell’innovazione sociale, che è il nuovo volto della sussidiarietà, che consentirà di affrontare i nuovi bisogni e di dare risposte ai vecchi in modo adeguato ai tempi che stiamo vivendo. Noi dell’Intergruppo per la Sussidiarietà faremo la nostra parte, alla Camera e poi al Senato per fare in modo che dal processo legislativo innescato dal governo esca la miglior riforma possibile del terzo settore. Per chi ci opera, per chi vorrebbe farlo, per tutti gli italiani che ogni giorno a milioni sperimentano i buoni frutti che portano le realtà del non profit: nei servizi alla persona, nella istruzione, nella cultura, nello sport. Si scrive sussidiarietà, si legge società, vale a dire, tutti noi. Per questo, più società fa bene allo Stato.

Antonio Palmieri (Forza Italia)

Guglielmo Vaccaro (Pd)

Raffaello Vignali (Ncd)

coordinatori Intergruppo

Parlamentare per la Sussidiarietà

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