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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 01 dicembre 2014 alle ore 07:14.

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Oggi quasi tutti i cittadini dei Paesi sviluppati, e a breve anche di tutto il resto del mondo, possono facilmente permettersi di comprare uno smartphone avendo accesso, a basso costo, a un universo di conoscenza umana e di intrattenimento che, fino a una generazione fa, era ben oltre la portata dei cittadini comuni, tranne i ricchi. È possibile quindi che le misure convenzionali di diseguaglianza e di reddito sottovalutino in modo significativo il livello del nostro benessere?
Secondo l’economia convenzionale, la risposta di primo acchito sarebbe no. I calcoli della crescita economica che rivelano una crescente diseguaglianza prendono già in considerazione la spesa sulle telecomunicazioni, l’elaborazione dei dati e l’intrattenimento audiovisivo. A meno che i vantaggi derivanti dai beni e dai servizi dell’era dell’informazione non superino di gran lunga le somme spese per acquistarli, il benessere che comportano è già intrinseco. Ma quanto è inverosimile questo “a meno che”?

Quando investiamo nel nostro benessere non spendiamo solo soldi per acquistare beni e servizi, ma dedichiamo anche una parte del nostro tempo libero a utilizzarli nei tempi necessari. Non possiamo infatti trarre alcun vantaggio da un biglietto del cinema se ce ne andiamo prima della fine del film. Il tempo è una risorsa rara, proprio come i soldi, e dato che i prodotti e i servizi legati alle informazioni richiedono la nostra attenzione, comportano anche un grande dispendio di tempo. Sin da quando Omero raccontava la sua Iliade attorno a un fuoco al calar della notte, siamo stati sempre disposti a pagare caro per i racconti, l’intrattenimento e l’informazione. La tecnologia dell’era dell’informazione ci ha dato la possibilità di investire il nostro tempo in varie modalità accessibili, una volta, solo ai più potenti. Se nel XVII secolo aveste voluto vedere Macbeth a casa vostra, vi sareste dovuti chiamare James Stuart, avreste dovuto avere un contratto d’ingaggio con William Shakespeare e la sua compagnia teatrale e un teatro di dimensioni reali nel vostro palazzo reale.

In genere trascorriamo una media di due ore al giorno sui nostri dispositivi audio e video. Presupponiamo per un momento che le opportunità offerte dall’adozione diffusa della banda larga di internet abbiano raddoppiato l’utilità e il divertimento di cui beneficiamo durante l’utilizzo dei nostri dispositivi. Ciò equivale ad avere due ore di tempo libero in più al giorno oltre alle dieci ore che trascorriamo in media da svegli e al di fuori del lavoro. In termini economici ciò equivale a un ulteriore aumento annuale pari allo 0,6% dello standard di vita sin dal 1990, ovvero un aumento ben più consistente dello 0,2% annuale che l’utilizzo delle misure convenzionali ci porterebbe a stimare.
La questione diventa, quindi, se i nostri smartphone, kindle, tablet e computer ci forniscono effettivamente un’utilità aggiuntiva. Diamo maggior valore ai beni e ai servizi di Netflix, YouTube, Facebook e alla biblioteca umana online di internet rispetto a quello che imparavamo, ascoltavamo, guardavamo o di cui parlavamo negli anni passati con i mezzi tradizionali?

Noi non consumiamo i beni e i servizi in uno spazio vuoto. Parte del piacere di cui beneficiamo grazie a questi beni e servizi deriva dal fatto che il nostro status aumenta rispetto a quello dei nostri coetanei. L’era dell’informazione non ci ha quindi solo fornito maggiori opzioni di intrattenimento, ma ha anche aperto nuove prospettive sullo stile di vita dei nostri vicini e ciò che abbiamo osservato è che alcuni di loro stanno diventando sempre più ricchi. Se dovessi buttarmi a indovinare direi che, come società, i vantaggi che abbiamo ricevuto dalla tecnologia dell’era dell’informazione sono stati annullati dall’invidia che proviene dal vivere in un mondo sempre più diseguale.

(Traduzione di Marzia Pecorari)
© PROJECT SYNDICATE,2014

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