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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 02 dicembre 2014 alle ore 08:05.

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Nell’Europa di Schengen e della mobilità interna, dove le frontiere nazionali si voleva fossero state mandate in soffitta, il tema dell’immigrazione dall’esterno è sempre più caldo. Talvolta il surriscaldamento di una materia così delicata appare opera di governi nazionali in preda a una crisi di nervi (ricordate la sospensione del Trattato sulla libera circolazione delle persone tra Italia e Francia ai tempi del ministro degli Interni Maroni?). Più spesso, se ne parla in maniera più o meno indignata o preoccupata quando si osservano le performance elettorali dei partiti populisti come il Front National o lo Ukip, l’United Kingdom Independence Party, la Lega o il Movimento 5 Stelle. In realtà, quello che facciamo fatica a riconoscere è che il sentimento di disagio, fastidio, ostilità nei confronti degli “extracomunitari” si sta diffondendo soprattutto negli strati più deboli della popolazione. I fatti della periferia romana di qualche settimana fa rappresentano tutto sommato il caso più semplice: una “guerra tra poveri”, come è stata sommariamente descritta ovvero, più precisamente, la reazione di chi si sente emarginato dalla società cui dovrebbe appartenere “per diritto di nascita”, convinto che le magre risorse convogliate verso l’accoglienza degli stranieri siano state sottratte da quelle di propria spettanza.

Quello che a Roma è stato tirato in ballo poche settimane fa non era più il ritornello degli “immigrati che ci rubano il lavoro”, ma quello nuovo degli “immigrati che ci rubano l’assistenza”. In un Paese in cui il Pil continua a non crescere nonostante tutte le roboanti promesse di questi mesi, dove l’occupazione continua a contrarsi e al punto che in certe regioni solo un giovane su tre lavora, quello che più preoccupa non è la concorrenza per un lavoro che tanto comunque non c’è, ma per un sussidio, una casa popolare, un buono pasto. Si tratta di un segnale evidente di come la speranza stia abbandonando proprio quelli che più ne avrebbero bisogno e che fa il paio con il boom delle lotterie che promettono un vitalizio più che dignitoso per 30 anni invece di una vincita milionaria.
Oggi una parte consistente dell’ex ceto medio è o si avverte a rischio povertà: impaurito rispetto a un futuro che non basta dipingere a colori per renderlo meno cupo. I timori e i sentimenti che fino a qualche anno fa non sfiorava neppure la piccola borghesia, ora la riguardano eccome e gonfiano il vento dei partiti che si propongono di intercettarli e alimentarli, al punto che anche i partiti più “rispettabili” – come i Conservatori di Cameron – non disdegnano di avanzare proposte una volta considerate tabù.

I dati diffusi ieri dall’Ocse per l’Italia ci parlano di un rallentamento dell’immigrazione nel complesso, di un aumento di quella irregolare e, complessivamente, di una sua collocazione prioritaria e stagnante nei lavori più umili, precari e meno retribuiti. Ne emerge non tanto un quadro di competizione per il lavoro nei confronti dei cittadini italiani, quanto piuttosto di possibile competizione per l’assistenza e la previdenza, con tutti i rischi per l'ordine sociale e quello pubblico che ne deriverebbero in caso di impossibilità nel soddisfare la domanda complessiva.
Il perdurare della recessione, l’inefficacia delle misure fin qui adottate per rilanciare investimenti e occupazione, l’erosione dei micro-patrimoni famigliari, la sostanziale promessa di impunità per tutta una serie di crimini (“minori” ma in grado di generare altissimo allarme sociale) frutto anche di recenti iniziative legislative: sono tutti fattori che lasciano intendere non solo che i partiti “populisti” potranno incrementare i propri consensi, ma che l’intero orizzonte dell’offerta politica finisca con il subire una deriva populista proprio a partire dal tema dell’immigrazione, dopo che per troppi decenni ci si è limitati a recitare compiti salmi (e magari oggi a postare un selfie) a favore di un’integrazione di facciata tra nativi e nuovi arrivati.

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