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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2014 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2014 alle ore 08:13.

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La crescita economica, come abbiamo appreso dalle opere di economisti come Robert M. Solow del Mit, è sostenuta principalmente dalle conoscenze e dall’innovazione, e non solo dai risparmi e dall’accumulo di capitale. Il progresso dipende dalla creatività. È per questo che il timore della «stagnazione secolare» spinge molti a chiedersi in che modo si possa sollecitare la creatività. Un’importante argomentazione emersa è stata che ciò che serve di più è lo stimolo economico keynesiano, il deficit spending, cioè la spesa che si sostiene sull’indebitamento. Dopo tutto, le persone sono più creative quando sono attive, e non quando sono disoccupate. Altri non vedono alcun nesso tra stimolo e nuovo dinamismo. Come ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, l’Europa ha bisogno di «coraggio politico e creatività invece che di miliardi di euro». In effetti, servono entrambi. Se dobbiamo incoraggiare il dinamismo, abbiamo bisogno dello stimolo keynesiano e di altre politiche tese a rilanciare la creatività e in particolare di politiche in grado di promuovere solide istituzioni finanziarie e innovazione sociale.

Nel suo libro del 2013 Mass Flourishing, Edmund Phelps sostiene che dobbiamo «tutelare la cultura e ispirare l’individualismo, l’immaginazione, la comprensione e l’espressività tesa a spingere l’innovazione endogena della nazione». Per Phelps, la creatività è stata soffocata da una filosofia pubblica descritta con il termine di corporativismo e solo attraverso una profonda riforma delle istituzioni private, finanziarie e no, si possono rilanciare l’individualismo e il dinamismo. Phelps sottolinea che il corporativismo ha una lunga storia alle spalle, che risale a San Paolo. Paolo utilizzava il corpo umano (corpus in latino) come metafora per la società, suggerendo che in una società sana, così come in un corpo sano, ciascun organo deve essere preservato e nessuno deve essere lasciato morire. In quanto credo, il corporativismo ha assunto il significato di azione di controllo da parte dello Stato su tutti i membri della società, individui o organizzazioni, sostenendo le imprese in difficoltà e proteggendo i posti di lavoro. Per Phelps, Papa Leone XIII sosteneva una visione corporativistica nell’enciclica del 1891 Rerum Novarum e Papa Pio XI amplificò queste idee nell’enciclica del 1931 Quadragesimo Anno. Leggendo queste opere, però, non trovo una persuasiva teoria di qualsiasi dottrina economica, se non per le basilari nozioni di equità e carità cristiana.

Di fatto, una ricerca tramite Ngrams dimostra che il termine corporativismo iniziò a diventare popolare solo dopo la metà degli anni 30, diffondendosi negli anni 70 e 80. Il termine sembra essere stato utilizzato spesso dai critici, per denunciare la defunta filosofia fascista, o da coloro che vantavano elementi di un “nuovo” corporativismo.

Oggi persistono degli elementi del corporativismo. Un’importante spinta verso il corporativismo è stato il libro The Crowd (La folla) del 1895 di Gustave Le Bon, che coniò i termini di «psicologia delle folle» e «mentalità collettiva». Per Le Bon, «Un individuo in una folla» – non solo folle rivoltose, ma anche altri gruppi di persone psicologicamente interconnessi – «è un granello di sabbia in mezzo ad altri granelli di sabbia, che il vento solleva a piacere». Secondo Le Bon, le folle necessitavano di leader forti, per allontanarsi dalla naturale pazzia e trasformarsi in civiltà di splendore, vigore e brillantezza. Sia Mussolini sia Hitler hanno tratto ispirazione dal libro di Le Bon, incorporando le sue idee nel fascismo e nell’ideologia nazista; e quelle idee non sono morte con quei regimi. E ancora la parola crowd ha assunto diversi connotazioni nel nostro secolo. Crowdsourcing, crowdfunding hanno creato nuovi tipi di folle.

Come ha enfatizzato Le Bon, le persone non riescono facilmente a fare grandi cose come singoli individui. Devono agire insieme all’interno di organizzazioni che siano capaci di indirizzare la psicologia delle masse, agevolare la creatività, e che siano guidate da persone con un’integrità.

Qualsiasi tecnologia organizzativa di questo genere, però, è soggetta a errore e richiede una sperimentazione. Quando, Wikipedia, un grande esempio di crowdsourcing, fu lanciato nel 2001, il suo successo non fu ovvio. Persino uno dei suoi fondatori, Jimmy Wales, lo trovò poco credibile: «È sorprendente che basti aprire un sito per far lavorare la gente».

Quando negli Stati Uniti il Jumpstart Our Business Startups (JOBS) Act, che agevolò un vero crowdfunding per imprese, fu sottoscritto dal presidente Barack Obama nel 2012, fu anch’esso un esperimento. Secondo molti critici, sarebbe finito in uno sfruttamento di investitori ingenui. Non sappiamo ancora se ciò sia vero, o quanto funzionerà l’esperimento. Ma se il JOBS Act non funziona, non dobbiamo abbandonare l’idea, ma cercare di modificarla.

Infine, abbiamo bisogno di istituzioni economiche che in qualche modo promuovano azioni concertate e creative di un’ampia schiera di persone di tutto il mondo. Non dovrebbero essere istituzioni corporativistiche, dominate da leader centrali, ma dovrebbero trarre il proprio potere da azioni fluide di folle moderne. Alcune di queste azioni dovranno essere dirompenti, perché lo slancio delle organizzazioni può trascinarle oltre la loro utilità. Ma deve esserci anche abbastanza continuità da far sì che le persone possano affidare carriera e futuro a tali organizzazioni. Riconoscere la necessità di sperimentare e progettare nuove forme di organizzazione economica non significa necessariamente abbandonare l’equità e la compassione.

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