Nel «mondo di mezzo» né Stato né mercato

Il “mondo di mezzo” di Mafia Capitale scolpito dal capobanda Massimo Carminati rende bene l'idea. Quella di una terra sottratta insieme alle leggi del mercato e a quelle dello Stato, dove l'affarismo criminale abbraccia la politica locale e le sue diramazioni amministrative ed economiche.

È un marciume in assetto bipartisan che avevamo già iniziato a conoscere, ma ora l'inchiesta della magistratura ne indica il perimetro, lo spessore e il metodo. Tre evidenze a tal punto extralarge, com'è scritto in fondo nel codice genetico di Roma nel bene e male, da restituirci la foto nitida di una grande capitale europea assediata al suo interno dalla corruzione e da un nuovo “contratto” di tipo mafioso. Con quali negative ripercussioni nel mondo, per la città e per l'Italia, è facile immaginare .

Del resto, la terza economia dell'eurozona figura al 69° posto su 174 nel mondo - la peggiore in Europa - della classifica di Transparency International sulla corruzione percepita. Ma Mafia Capitale ci spiega di più, e cioè che il vecchio sottobosco politico e criminale si è trasformato in una foresta pietrificata nelle istituzioni locali e nelle sue aziende partecipate.

Qui non esistono la concorrenza e la libera impresa, lo Stato e le sue leggi. Ma ci sono grandi affari facili che assicurano guadagni agevoli e rendite politiche garantite. Niente ostacoli burocratici, niente costi amministrativi, niente rischi d'impresa, niente controlli. Nel “mondo di mezzo” romano di un Paese che con la sua ipertrofia legislativa e regolamentare mette fuori gioco gli imprenditori onesti e bravi, tutto è possibile. Sono i capibanda ad aver catturato lo Stato nella sua articolazione periferica ribaltando le regole ad uso e consumo loro e di una classe politica e burocratica (e dei manager che esprime) la cui voracità di potere e soldi è inversamente proporzionale alla sua caratura etica e professionale.
Tagliare, tagliare, tagliare. Solo così se ne andrà il marciume.

©RIPRODUZIONE RISERVATA