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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2014 alle ore 13:50.
L'ultima modifica è del 07 dicembre 2014 alle ore 14:32.

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Nel suo discorso al Consiglio d'Europa il 25 novembre scorso Papa Francesco si è servito di questi versi di Clemente Rebora, sacerdote poeta (Il pioppo in: Canti dell'Infermità, ed. Vanni Schweiller, Milano 1957, 32) per delineare la sua idea di Europa, «con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che si inabissano nella terra». Francesco ha voluto così evidenziare la triplice direzione in cui il continente europeo deve pensare se stesso per costruire un futuro all'altezza del suo migliore passato: «Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia».

Secondo l'analisi del Vescovo di Roma, nel corso della sua storia l'Europa «si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità». Questo cammino, però, è stato e resta possibile solo a condizione di porsi in continuità con la ricchezza del passato, fondandosi cioè sulla «solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono». Il no di Francesco è a ogni tentazione di considerarsi all'anno zero, di voler cioè costruire il domani senza radicarsi nel cammino fatto, col suo bagaglio di positività da sviluppare e di errori da evitare: il sì è a quella scelta di servire la verità, che è garanzia di umanizzazione per tutti. Osserva Rebora: «Il tronco s'inabissa ov'è più vero. Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale.

D'altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile». Senza questa ricerca della verità e senza la disponibilità convinta di obbedire ad essa, «ciascuno diventa misura di se stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta a essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale». È insomma sul piano dell'etica e dei suoi fondamenti universali che Francesco coglie la grandezza dell'apporto dell'Europa al cammino della civiltà, come anche la ragione dei suoi errori lì dove essa si è allontanata da queste radici per inseguire mode del momento o ideologie impazzite, che pretendevano di rifondare il mondo sulla base di un'inaccettabile volontà di potenza.

È questa Europa dei diritti e dei doveri, nutrita dell'idea ebraico-cristiana di persona, paladina della dignità di ogni essere umano, che può entrare in dialogo vivo e fecondo con la mondialità, offrendosi come partner affidabile a ogni cammino di civiltà che voglia crescere nella promozione di tutto l'uomo in ogni uomo. Sta qui il nocciolo di un ulteriore importante messaggio che Papa Francesco ha lanciato nello scorso Novembre: lo ha fatto durante la visita in Turchia, culminata nell'abbraccio fraterno con il Patriarca Bartolomeo, capo spirituale dell'altro grande polmone della cristianità accanto al Cattolicesimo, l'Ortodossia. Sullo scenario dei drammi prodotti dal fanatismo islamico dell'Isis, il Vescovo di Roma ha esortato questo grande Paese islamico a essere mediatore di pace, baluardo dei diritti umani e delle minoranze religiose: «La Turchia - ha affermato - per la sua storia, in ragione della sua posizione geografica e a motivo dell'importanza che riveste nella regione, ha una grande responsabilità… nel favorire un incontro di civiltà e nell'individuare vie praticabili di pace e di autentico progresso».

A tal fine, «è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani - tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione -, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri». L'incoraggiamento è a una politica oggi tentata di allontanarsi dalla grande tradizione di garanzia dei diritti civili di tutti della Nazione plasmata dall'opera di Kemal Atatürk, affinché non si dimentichi mai che solo «la liberta religiosa e la liberta di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell'amicizia, diventando un eloquente segno di pace». Ciò che occorre, insomma, è «contrapporre al fanatismo e al fondamentalismo, alle fobie irrazionali che incoraggiano incomprensioni e discriminazioni, la solidarietà di tutti i credenti, che abbia come pilastri il rispetto della vita umana, della liberta religiosa, che e liberta del culto e liberta di vivere secondo l'etica religiosa, lo sforzo di garantire a tutti il necessario per una vita dignitosa, e la cura dell'ambiente naturale».

Il messaggio è preciso e mirato, anche se va anche oltre il contesto diretto cui si riferisce: di queste garanzie di rispetto per tutti «hanno bisogno, con speciale urgenza, i popoli e gli Stati del Medio Oriente, per poter finalmente invertire la tendenza e portare avanti con esito positivo un processo di pacificazione, mediante il ripudio della guerra e della violenza e il perseguimento del dialogo, del diritto, della giustizia». Ma la posta in gioco di un'umanità che viva in pace nel riconoscimento dei diritti di ciascuno e dell'adempimento dei doveri che spettano a ognuno interessa l'intero “villaggio globale”. È quanto Francesco ha confermato sottoscrivendo la “Dichiarazione congiunta dei Leader religiosi contro la schiavitù” insieme ai rappresentanti delle più diffuse religioni del mondo il 2 dicembre scorso in Vaticano. All'invito che viene dalle parole citate e da questi gesti del Papa “venuto dalla fine del mondo” nessuno deve sottrarsi: ne va del destino di ciascuno e di tutti.

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