Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2014 alle ore 08:48.

My24

Incontrai Vladimir Putin per la prima volta nel giugno del 2000, durante la sua prima visita in Italia da neo-presidente della Federazione Russa. Non era ancora il personaggio di assoluto rilievo mondiale che poi sarebbe diventato. Al contrario, le analisi di quei tempi tendevano a rappresentarlo come l’ennesima scelta temporanea di Boris Eltsin (il primo leader della Russia post-sovietica ne aveva fatte già molte): un uomo grigio, di transizione, privo di un personale sostegno interno, forse un po’ più interessante dei suoi predecessori per la provenienza dal Kgb. Nulla di più.

L'incontro si tenne al Principe di Savoia di Milano tra un ristretto gruppo di alti dirigenti Eni (tra cui io stesso) e un’altrettanto ristretta delegazione russa, che comprendeva Putin e l’allora capo di Gazprom, Rem Vyakhirev (di lì a poco meno di un anno fatto fuori perché estraneo al mondo del neo presidente russo).

Nessun segreto aziendale che abbia rilevanza a distanza di oltre 14 anni. L’incontro rientrava nella normale attività di diplomazia istituzionale tipica di grandi multinazionali che da decenni hanno rapporti fortemente consolidati con un determinato paese – come nel caso dell’Eni con la Russia. Gli uomini di Gazprom avevano preparato un briefing dei temi da trattare, condiviso con l’Eni: in sostanza, una rassegna di argomenti volti a celebrare il successo della collaborazione storica tra Gazprom e Eni (da poco coronata dall’avvio della costruzione del gasdotto Blue Stream tra Russia e Turchia) con qualche idea appena abbozzata di possibili, nuove iniziative future.

Putin ascoltò tutto in silenzio, senza mai guardare negli occhi i diversi interlocutori ma fissando un lapis che agitava tra le mani. Terminata l’esposizione delle due società disse qualche parola di circostanza, complimentandosi in modo generico per l’ottimo lavoro fatto negli anni precedenti. Poi un lampo improvviso che spiazzò tutti, a partire da Gazprom: l’Ucraina.

Tutti conoscevamo bene le difficoltà dei rapporti di Mosca con il paese limitrofo, attraverso cui correvano tutte le esportazioni di gas russo verso l’Europa. Pochi anni prima, inoltre, c’era stata una prima crisi tra i due paesi, che col senno di poi si sarebbe rivelata una prova generale di quanto sarebbe avvenuto in seguito, su scala più vasta. In sostanza, il presidente russo spiegò che, per la sua visione futura della Russia, non poteva accettare che un paese come l’Ucraina avesse un potere di ricatto formidabile su Mosca, dovuto al transito del gas russo sul suo territorio. Ancor meno poteva accettare che Kiev continuasse a “rubare” gas alla Russia prelevandolo dai gasdotti o non pagando le fatture dovute, ma fosse prontissima a giocare il ruolo di Davide contro Golia sul piano internazionale quando Mosca reclamava i suoi diritti. Se l’Ucraina voleva la totale indipendenza da Mosca l’avesse pure – era il ragionamento di Putin – fermo restando che doveva pagare i suoi debiti come chiunque altro. In ogni caso, Mosca non poteva più dipendere da un paese così inaffidabile. E qui Putin uscì con il suo colpo di scena: poiché Eni e Gazprom avevano rapporti unici in Europa, lavorassero insieme per costruire un nuovo gasdotto che aggirasse l’Ucraina – cioè l’idea di fondo che in seguito avrebbe ispirato sia il North Stream (poi realizzato da altre società), sia il recentemente abortito South Stream.

Il primo a restare sorpreso dall’uscita di Putin fu il capo di Gazpr om che - in seguito, quasi a scusarsi - ci disse che non era mai uscita fuori nei colloqui con il neo-presidente.

Vista la novità della proposta e la fonte da cui proveniva, durante l’incontro fu presa una posizione interlocutoria (vedremo, studieremo) non priva di perplessità. Anche senza calcoli punt uali, la costruzione di un nuovo gasdotto di quella portata pareva priva di qualsiasi fondamentale economico, tanto che nemmeno Gazprom (al tempo) intendeva impegnarcisi. Inoltre, sapevamo bene che la Russia e Gazprom avevano grandi problemi di rating finanziario, per cui l’onere diretto e indiretto di un smile progetto sarebbe ricaduto interamente su Eni.

Per fortuna, in incontri successivi la proposta di Putin sembrò entrare in un cono d’ombra, soprattutto dopo che gli uffici competenti di Eni e Gazprom ebbero illustrato l’insostenibilità economica del progetto. L’apparente stabilizzazione dei rapporti con l’Ucraina e l’improvvisa ascesa dei prezzi del petrolio (da cui dipendevano anche quelli del gas – una vera manna per le casse di Mosca e per il successo personale di Putin), fecero il resto. L’idea del mega-gasdotto scomparve dal tavolo delle cose fattibili, ma rimase nel retro-pensiero di Putin come una sorta di ossessione strisciante, per poi riesplodere dopo la crisi Russo-Ucraina del 2006.

Anche allora i fondamentali economici del progetto erano quantomeno dubbi, ma la forza politica e la capacità di trovare alleati consenzienti da parte di Putin era enormemente cresciuta. Il resto è storia recente, fino alla decisione annunciata pochi giorni fa dallo stesso presidente russo di cancellare per sempre il South Stream.

Ho qualche dubbio, tuttavia, che l’idea di fondo espressa in quel primo incontro del 2000 possa essere del tutto morta. L’Ucraina è destinata a rimanere un problema permanente per il modo in cui Putin considera il ruolo russo nel mondo, un’ossessione difficile da sopprimere. L’incontro del 2000 testimonia che quel modo di vedere è scritto nel Dna del leader russo da ben prima che diventasse un leader, come testimoniano altri elementi su cui non c’è tempo di dilungarsi. Non mi stupirei, pertanto, se – magari in altre forme – quell’ossessione strisciante, come tutte le ossessioni, tornasse a riemergere in futuro.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi