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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 06:56.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2014 alle ore 08:32.

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Dopo una lunga gestazione, il decreto sul fondo di finanziamento ordinario delle università è stato registrato dalla Corte dei conti e firmato dal ministro dell’Università Stefania Giannini, che l’ha annunciato ieri sul Sole 24 Ore. Nel decreto ci sono anche i fondi per la seconda tornata della «Valutazione della qualità della ricerca», cioè delle pagelle sulla qualità dei prodotti di ricerca sfornati dagli atenei e dagli enti italiani che nel 2013 hanno acceso il dibattito nel mondo accademico.

«È un buon segno, ma solo un primo passo», rileva Stefano Fantoni, che dopo una carriera da fisico tra le università e la Scuola internazionale di studi avanzati di Trieste è diventato nel 2010 il presidente dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (Anvur), cioè l’arbitro chiamato a far vivere anche da noi la misurazione della qualità che è di casa in tutti i sistemi avanzati. Da noi, denuncia però Fantoni, dopo un fugace entusiasmo iniziale «l’agenzia è stata lasciata sola, e questa condizione dura da troppo tempo: o il Governo crede davvero nella valutazione, e prende l’impegno di rilanciarla, oppure è il caso di riflettere se vale la pena di continuare o non sia meglio lasciare».

Presidente Fantoni, eppure le parole chiave della «trasparenza», della «valutazione» e del «merito» sono centrali nel vocabolario di Renzi e del suo Governo. Su quali basi lei sostiene invece che la strategia reale vada in un’altra direzione?

Io non so se c’è una strategia, ma leggo i fatti. Nei giorni scorsi abbiamo tenuto a Roma un grande convegno internazionale in cui sono è stato messo a confronto il lavoro delle principali agenzie europee di valutazione, ma non ha partecipato nessuno del ministero o più in generale del Governo. Peccato, perché proprio dal confronto con l’Europa è emerso che la strategia della valutazione e della premialità funziona se poggia su un forte endorsement politico da parte dei Governi centrali. Senza questo sostegno cade tutto, e le resistenze interne al sistema, le vecchie baronie, hanno buon gioco a ricostruire il passato.

D’accordo, ma la mancata partecipazione a un convegno non basta a provare una scarsa attenzione da parte del Governo.

Certo che no, ma gli elementi di sofferenza sono molti. Finora non ci si è preoccupati nemmeno di sostituire tutti i membri del consiglio direttivo che sono scaduti, o di preparare le complesse procedure (che passano anche da un search commitee internazionale) per preparare la sostituzione di quelli che scadono nei prossimi mesi. L’organico dell’Agenzia, poi, continua a essere molto sottodimensionato rispetto ai compiti che abbiamo; la firma dei decreti su fondo ordinario e costi standard è un buon segnale, ma arriva a dicembre cioè troppo tardi per impostare qualsiasi programmazione. Ripeto: al di là delle “rivendicazioni” su questo o quell’aspetto, è il mancato appoggio strategico a mettere in pericolo gli obiettivi fondamentali che abbiamo davanti.

Il carnet è ricco, quali sono i prossimi appuntamenti?

Dopo aver accreditato i corsi di laurea di tutte le università, per garantire che avesse la qualità minima indispensabile per entrare nell’offerta formativa come richiede la legge, abbiamo finito le prime due visite in loco per verificare il possesso da parte degli atenei dei requisiti didattici, di qualificazione della ricerca, strutturali e organizzativi, e ne faremo altre. Dobbiamo preparare il secondo ciclo della valutazione della ricerca, perché il primo ha riguardato il periodo 2004-2010 dopo che per anni si è rimasti fermi al 2003: ora dobbiamo dedicarci al 2011-2014, e l’aggiornamento costante è essenziale anche perché da questi risultati deve dipendere una quota crescente di finanziamenti agli atenei.

Appunto: che tempi prevedete?

È nostra intenzione presentare i risultati nel 2016, in modo tale che i finanziamenti di quell’anno siano distribuiti su questa base, ma non è semplice. Serve il decreto del ministero, che deve passare dalla Corte dei conti, il bando per costruire le commissioni di valutazione, e poi l’analisi di tutti i lavori: un impegno ciclopico, perché nella scorsa edizione sono state esaminate 185mila pubblicazioni e altri «prodotti di ricerca», sviluppati da 133 fra atenei, consorzi ed enti di ricerca e valutati da 450 esperti e 15mila revisori. E poi c’è il versante, nuovo, della valutazione della didattica.

Cioè?

Dopo una prima sperimentazione parziale, avvieremo nel 2015 un progetto ad ampio raggio, d’accordo con la Crui, per misurare le competenze degli studenti in almeno 15 università, per poi allargare il lavoro anche agli altri atenei. L’obiettivo è di trovare gli studenti eccellenti anche al di fuori delle poche università a cui si rivolgono tradizionalmente le imprese, e il progetto interessa molto anche Confindustria. Il modello è quello degli Stati Uniti, dove le research university vere e proprie non sono più del 10% del totale, e questi test vengono svolti nell’altro 90% con risultati ottimi. Le università migliorano la loro attività di placement, e le imprese hanno un bacino più ampio in cui trovare le competenze di cui hanno bisogno. È una sfida importante, ma occorre costruire i modelli di valutazione e adattarli ai vari contesti disciplinari .

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