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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2014 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 19 dicembre 2014 alle ore 08:47.

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La decisione della Corte di giustizia Ue, che autorizza la brevettabilità di cellule uovo umane non fecondate e quindi di ciò che può essere derivato da esse, ha rimediato al danno che rischiava di creare all'Europa una precedente sentenza della stessa Corte.

Nel mese di ottobre del 2011, infatti, fu negata la possibilità di brevettare embrioni umani, quindi anche l'uso commerciale dei prodotti derivati da ricerche su embrioni umani, includendo però nella definizione di «embrione umano» anche le cellule uovo stimolate a svilupparsi senza fecondazione (cioè partenogeneticamente).
Va ricordato che in biologia, quindi da un punto di vista scientifico, per embrione umano s'intende il prodotto della fecondazione della cellula uovo con lo spermatozoo.
Ovvero, un embrione umano per essere tale deve essere in grado di formare un organismo completo, che nasce e diventa una persona autonoma: in teoria, dopo la nascita di Dolly, un embrione umano con queste caratteristiche si potrebbe ottenere anche senza fecondazione, come avviene quando appunto si fa un trasferimento nucleare o clonazione.
Ma una cellula uovo indotta a dividersi con stimoli artificiali non è in grado di produrre un organismo umano completo e vitale. Per cui nella sentenza del 2011 vi erano evidenti difetti nel riferimento al quadro di processi biologici che si andava a normare.
Con la conseguenza di penalizzare le ricerche innovative e di potenziale valore commerciale in Europa, rispetto al resto del mondo, nella misura in cui queste ricerche avessero come è prevedibile prodotto ricadute in chiave di strumenti di interesse terapeutico, o più in generale economicamente sfruttabili.

La sentenza della Corte è stata costruita a partire da un rinvio dell'Alta Corte di Giustizia di Inghilterra e Galles, a fronte di un contenzioso tra l'International Stem Cell Corporation (ISCO) e l'Ufficio Brevetti del Regno Unito sul tema della brevettabilità di processi relativi all'uso di cellule uovo umane attivate partenogeneticamente.
Da queste cellule uovo si possono ottenere cellule staminali embrionali umane, che potrebbero presto o tardi avere un formidabile potenziale terapeutico.
La corte anglosassone chiedeva in pratica se i derivati embrionali umani ottenuti senza fecondazione dalle cellule uovo, che non possono diventare individui umani completi, andassero trattati come gli embrioni umani ottenuti per fecondazione, che si sviluppano come individui completi.

La decisione è inequivocabile
Soltanto un embrione umano che ha un'intrinseca capacità di svilupparsi in un essere umano, ricade sotto i divieti della sentenza del 2011. E il mero fatto che una cellula uovo umana sia stata attivata partenogeneticamente (senza fertilizzazione) a svilupparsi ovvero a dividersi dando luogo a staminali embrionali, non ne fa un embrione umano.
Perché non può svilupparsi in un embrione umano. In pratica, la corte anglosassone deve a questo punto soltanto stabilire che l'oggetto per il quale l'International Stem Cell Corporation chiede la protezione brevettuale all'ufficio brevetti britannico, non possa svilupparsi in un organismo umano.
Si tratta di una sentenza storica, che avvicina la legislazione europea a quella dei paesi scientificamente più avanzati e che consentirà alla ricerca scientifica nel vecchio continente di tornare competitiva e di interesse anche in termini di investimenti industriali.
Senza dimenticare che consentirà agli enti regolatori europei, come l'EMA (European Medicines Agency, ndr) e per l'Italia l'AIFA (Angenzia italiana del farmaco, ndr), di sedere ai tavoli internazionali che stanno mettendo a punto i criteri migliori per valutare la sicurezza e l'efficace delle terapie rigenerative, per malattie gravi come Parkinson o diabete, che presto o tardi arriveranno ai letti dei malati.

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