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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 20 dicembre 2014 alle ore 14:09.

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Le incognite del 2015

Dopo le recenti revisioni al ribasso dei principali indicatori macroeconomici sarà difficile

il rimbalzo del Pil, dei consumi

e della produzione industriale

In occasione dell’ultima rilevazione di settembre, avevo indicato come le previsioni di una graduale ripresa dell’economia siano state, a cominciare dalla seconda metà del 2012, costantemente disattese. La scorsa primavera ci si attendeva una ripresa che non c’è stata. Inoltre, la Bce tra settembre e dicembre ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2015 per l’Eurozona: Pil da +1,6% previsto a settembre, a +1,0%, previsto a dicembre. Investimenti per il 2015 da +3,1% previsti a settembre, a +1,4%, previsti a dicembre. Oggi, come mai nel recente passato, esiste una difficoltà sempre più evidente di fare previsioni economiche. Previsioni che vengono modificate anche a distanza di poche settimane, come abbiamo visto. La revisione al ribasso è diffusa e riguarda il Pil, i consumi, la produzione industriale e l’inflazione. La recente discesa del prezzo del petrolio sotto i 60 dollari al barile, se da un lato ha un effetto positivo di riduzione dei costi e potenziale aumento della domanda, dall’altro rappresenta un elemento che soffia anch’esso sul vento della deflazione.

Deflazione che si sta dispiegando velocemente. In Germania i prezzi sono fermi allo 0% a novembre, in Francia -0,2% (sul dato core è la prima volta nella storia), in Italia -0,2% e –in Spagna 0,4%, valore che marcano una eccessiva distanza rispetto al livello di stabilità dei prezzi fissato dalla BCE al 2%. Se come primo effetto la frenata dei prezzi aumenta il potere d’acquisto, la deflazione comprime i margini delle imprese che, a loro volta, tendono a comprimere i costi, compresi quelli del personale, per rimanere competitive. Si alimenta così il circolo vizioso dove un’alta disoccupazione deprime la domanda di beni e servizi e riduce i consumi. Le imprese cercano di ridurre i prezzi per mantenere le quote di mercato, facendo a loro volta pressione verso una riduzione dei costi dei salari.

L’Italia in questo circolo vizioso è già dentro. L’origine della debolezza dell’economia è la mancanza di consumi che, ricordiamoci, rappresentano tra quelli privati e pubblici l'80% del Pil italiano. Stiamo vivendo una crisi di domanda, non di offerta. Usando una metafora conosciuta tra gli economisti: «non possiamo dare da bere a un cavallo che non ha sete». Il credito (l’offerta) oggi ci sarebbe, ma le imprese non investono se non sanno a chi vendere i loro prodotti o servizi, così come le famiglie non spendono in un clima di incertezza futura sul lavoro e sul reddito. Pochi dati sintetizzano la situazione sopra descritta: la disoccupazione in Italia è al 13,2% e tra i giovani ha raggiunto il 44%, entrambi i dati rappresentano il record storico negativo; i consumi sono tornati quelli del 1999, 15 anni fa. Per alcuni prodotti come l’automobile siamo tornati al 1974 come numero di immatricolazioni.

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