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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2014 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 20 dicembre 2014 alle ore 10:53.

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In occasione dell'ultima rilevazione di settembre, avevo indicato come le previsioni di una graduale ripresa dell'economia siano state, a cominciare dalla seconda metà del 2012, costantemente disattese. La scorsa primavera ci si attendeva una ripresa che non c'è stata. Inoltre, la Bce tra settembre e dicembre ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2015 per l'Eurozona: Pil da +1,6% previsto a settembre, a +1,0%, previsto a dicembre. Investimenti per il 2015 da +3,1% previsti a settembre, a +1,4%, previsti a dicembre. Oggi, come mai nel recente passato, esiste una difficoltà sempre più evidente di fare previsioni economiche. Previsioni che vengono modificate anche a distanza di poche settimane, come abbiamo visto. La revisione al ribasso è diffusa e riguarda il Pil, i consumi, la produzione industriale e l'inflazione. La recente discesa del prezzo del petrolio sotto i 60 dollari al barile, se da un lato ha un effetto positivo di riduzione dei costi e potenziale aumento della domanda, dall'altro rappresenta un elemento che soffia anch'esso sul vento della deflazione.

Deflazione che si sta dispiegando velocemente. In Germania i prezzi sono fermi allo 0% a novembre, in Francia -0,2% (sul dato core è la prima volta nella storia), in Italia -0,2% e –in Spagna 0,4%, valore che marcano una eccessiva distanza rispetto al livello di stabilità dei prezzi fissato dalla BCE al 2%. Se come primo effetto la frenata dei prezzi aumenta il potere d'acquisto, la deflazione comprime i margini delle imprese che, a loro volta, tendono a comprimere i costi, compresi quelli del personale, per rimanere competitive. Si alimenta così il circolo vizioso dove un'alta disoccupazione deprime la domanda di beni e servizi e riduce i consumi. Le imprese cercano di ridurre i prezzi per mantenere le quote di mercato, facendo a loro volta pressione verso una riduzione dei costi dei salari.

L'Italia in questo circolo vizioso è già dentro. L'origine della debolezza dell'economia è la mancanza di consumi che, ricordiamoci, rappresentano tra quelli privati e pubblici l'80% del Pil italiano. Stiamo vivendo una crisi di domanda, non di offerta. Usando una metafora conosciuta tra gli economisti: «non possiamo dare da bere a un cavallo che non ha sete». Il credito (l'offerta) oggi ci sarebbe, ma le imprese non investono se non sanno a chi vendere i loro prodotti o servizi, così come le famiglie non spendono in un clima di incertezza futura sul lavoro e sul reddito. Pochi dati sintetizzano la situazione sopra descritta: la disoccupazione in Italia è al 13,2% e tra i giovani ha raggiunto il 44%, entrambi i dati rappresentano il record storico negativo; i consumi sono tornati quelli del 1999, 15 anni fa. Per alcuni prodotti come l'automobile siamo tornati al 1974 come numero di immatricolazioni.

In questo quadro segnali di “luci e ombre” ci arrivano dai nostri indicatori Ambrosetti Club Economic Indicator creati per prevedere i cambiamenti economici in atto, le tendenze future e il loro impatto sul sistema sociale ed economico.Gli indicatori Ambrosetti Club Economic Indicator incorporano il sentiment di un target selezionato (il campione della nostra analisi è composto da imprenditori, amministratori delegati e rappresentanti dei vertici aziendali delle più importanti società italiane e multinazionali che operano in Italia) e con una visione privilegiata del business a 360 gradi.
L'indicatore di sentiment sulla situazione attuale dell'economia italiana è in peggioramento, per il terzo trimestre consecutivo e si attesta a dicembre a 3,4.
L'indicatore sulle aspettative a 6 mesi ci porta invece qualche segnale di maggior ottimismo e raggiunge i 17,2 punti, in aumento dai 3,8 punti dello scorso settembre. L'aumento marcato porta l'indicatore a rimbalzare sui valori più alti dell'ultimo anno e maggiori degli ultimi 5 trimestri. I vertici delle più importanti aziende del Paese, nonostante vedano una situazione attuale molto difficile, nutrono aspettative di miglioramento per l'estate del prossimo anno.
Purtroppo il dato sulle aspettative del mercato del lavoro si conferma per l'ennesima volta negativo. Sull'occupazione i nostri indicatori non hanno mai fatto registrare un segno positivo. Preoccupa il fatto che si amplifichi ulteriormente il dato negativo e raggiunga -21,6, dal -14,4 di settembre. Questo è uno dei problemi del Paese da affrontare con assoluta priorità. Sul fronte degli investimenti, l'indicatore si attesta a 0,9, come a settembre. È una ulteriore conferma della stagnazione in atto.
I segnali che emergono dalle nostre rilevazioni trovano delle spiegazioni molto interessanti dai colloqui e scambi di opinione che abbiamo regolarmente con il mondo produttivo e imprenditoriale.

Pierluigi Garuti, Direttore Generale di Pelliconi, uno dei principali produttori mondiale di tappi a corona, in metallo e tappi in plastica per l'industria dell'imbottigliamento per bevande, ci mette in evidenza come l'intera Europa, è oggi un mercato che non offre una prospettiva di consumi in aumento. Pensare che le aziende possano investire in un contesto di consumi stabili o in diminuzione, e riduzione dell'occupazione è una utopia. Gli investimenti sono sempre più legati a casi specifici e non generalizzabili al contesto economico. Pelliconi investe, ma di focalizza su progetti specifici con clienti con i quali definisce progetti di fornitura con orizzonte poliennale, oppure su aree nelle quali i consumi di bevande sono in crescita, quindi sui mercati extra Europei. Garuti, chiarisce come, attualmente, nel suo settore esiste una tensione verso la riduzione dei prezzi elevatissima, forzata dai grandi clienti multinazionali del settore beverage, e per non perdere quote di mercato e continuare a vendere (e ad esistere diremmo noi) le aziende indirizzano gli investimenti verso l'automazione e l'informatizzazione dei processi che, nel lungo periodo, tendono a ridurre i costi del lavoro, in costante aumento fisiologico, quindi il numero di occupati nelle aziende. Se le aziende non assumono (se non marginalmente) e il settore pubblico è in esubero, per far ripartire l'occupazione è necessaria una ripresa della domanda che, come visto, non c'è. Una spinta positiva per l'occupazione viene dalle aziende che esportano, trainate dalla domanda in crescita di altri Paesi.

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