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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 14:25.
L'ultima modifica è del 21 dicembre 2014 alle ore 14:41.

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La trattativa soprattutto con la Commissione europea si gioca dunque su più tavoli. E l'attenzione è già rivolta all'annunciato via libera, da parte del Consiglio dei ministri ai primi due decreti attuativi del Jobs act, atteso per il 24 dicembre. E in gennaio, al percorso delle riforme istituzionali, legge elettorale in primis. Il tutto, all'interno di un delicatissimo passaggio politico, cui Bruxelles e i partner europei guardano con preoccupazione: l'imminente elezione del nuovo presidente della Repubblica. Torna lo spettro dell'instabilità politica, che finirebbe per vanificare gli effetti della manovra “espansiva” appena licenziata dal Senato.

Un percorso a ostacoli, se si considera che la Commissione europea, in previsione del giudizio sui conti italiani previsto per marzo, attende già per la fine del prossimo mese una prima indicazione da parte del governo sullo stato di attuazione delle riforme in itinere. Passaggio ritenuto fondamentale per poterne incorporare gli eventuali effetti nelle nuove stime macroeconomiche di marzo. Per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, nel 2015 i conti pubblici miglioreranno e questo consentirà di dimostrare ai partner europei e ai mercati che l'Italia «è un Paese affidabile». Su questo punto, il confronto con Bruxelles si annuncia tutt'altro che agevole. Il testo della legge di stabilità che – una volta ricevuto il via libera definitivo da parte della Camera – verrà trasmesso a Bruxelles incorpora i 4,5 miliardi di riduzione del deficit strutturale chiesto dalla Commissione Ue. Quanto basta – a parere del governo – per raggiungere lo 0,3% del Pil contro lo 0,1% assicurato dalla manovra nella sua versione di partenza. Si tratta ora di convincere Bruxelles, finora molto dubbiosa su alcuni degli addendi individuati dal governo per rafforzare la sua cura antideficit, che nel 2015 il percorso di rientro dal saldo strutturale di bilancio sarà effettivamente quello contenuto in manovra.

Quanto alla partita degli investimenti, la strada per provare a scorporare la quota dei cofinanziamenti nazionali dal calcolo del deficit è sbarrata. Lo ha detto chiaramente il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, alla fine del Consiglio europeo di giovedì scorso: non è previsto dai trattati. Si lavora – questo il compromesso raggiunto – solo sui conferimenti nazionali al costituendo Fondo europeo. Non è molto, ma è pur sempre un primo passo. Ecco perché ora l'esito della complessa trattativa europea pare in gran parte legato all'esito della partita decisiva delle riforme. Le nuove norme in materia di mercato del lavoro sono la principale cartina di tornasole per verificare l'effettivo margine di realizzabilità del pacchetto di riforme messo in piedi dal governo. Non si potranno sbagliare le mosse, perché è proprio su questo fronte decisivo che Bruxelles calibrerà il suo giudizio a marzo, pur nell'incertezza sul reale impatto (almeno nel breve periodo) delle nuove norme sul mercato del lavoro sul potenziale di crescita dell'economia. L'approccio più “politico” che la nuova Commissione sembra aver adottato rispetto alla precedente apre sulla carta diversi margini alla trattativa. Non è chiaro però quale sarà lo sbocco finale dell'apertura di credito concessa finora al governo, che al momento ha prodotto nei fatti una sorta di supplemento di istruttoria, tre mesi in più per dimostrare con i fatti che la strada intrapresa va nella direzione auspicata.

Anche Juncker ha i suoi problemi e non può cedere più di tanto sul fronte del rigore, pur nella consapevolezza che occorra finalmente imboccare la strada della crescita e del sostegno alla domanda anche attraverso il ricorso ad alcuni margini di flessibilità nelle politiche di bilancio. Si lavora anche sui dettagli, per non irrigidire Berlino e fornire una sponda alla Bce in un anno che si annuncia fondamentale per la tenuta dell'eurozona. E dunque si cercheranno tutti gli spazi possibili concessi dall'attuale disciplina di bilancio, ma non vi è da attendersi che piovano sconti o assegni in bianco.

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