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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2014 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 23 dicembre 2014 alle ore 07:37.

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«Saper coniugare visione d'insieme e attenzione ai dettagli»: è «l'elogio alla pignoleria» che tanti - anche ieri al Csm - rivolgono a Giorgio Napolitano. «La pignoleria è un attributo che non ho mai rifiutato né considerato dispregiativo» ribatte il Capo dello Stato, ricordando che «anche Enrico De Nicola fu un grandissimo pignolo, che studiava le leggi fino a sera tarda, articolo per articolo». Del resto, nei dettagli si nascondono cose positive ma anche negative.

Dunque, «siate attenti ai dettagli» è stata la sua esortazione prima di lasciare palazzo dei Marescialli. Un commiato insolito, un fuori programma che però sintetizza bene il metodo di lavoro del Quirinale, che ha consentito in questi anni di arginare bulimie legislative e analfabetismi istituzionali, soprattutto in materia di giustizia.
Non c'è dubbio che negli ultimi 20 anni la politica della giustizia, in tutte le sue articolazioni, abbia sofferto proprio della mancanza di una visione d'insieme e della disattenzione ai dettagli. Ancora oggi, di fronte all'ennesimo seppure eclatante scandalo giudiziario che ha rivelato l'intreccio tra corruzione e criminalità organizzata, giungono risposte frammentarie, tardive, incerte. L'aumento della pena del reato di corruzione sembra più una reazione all'inchiesta Mafia capitale (anche se non potrà giovarsene in concreto, poiché si applicherà solo al futuro, sempre che diventi legge) che una modifica «ponderata» - per usare le parole di Napolitano - frutto di un'analisi lunga e attenta sul dilagare degli intrecci mafia/corruzione, peraltro denunciato, neppure un anno fa, dalla Commissione Ue nel Rapporto Italia, puntualmente ignorato. A ciò si aggiunga il pasticcio di aver inserito l'aumento di pena in un mega disegno di legge su processo penale e prescrizione, che avrebbe dovuto essere portato in Parlamento già tre mesi fa ma che invece spunta soltanto adesso, creando non pochi problemi di coordinamento con il lavoro avviato dalla commissione Giustizia della Camera. C'è assai poco di «pignolo» in questo procedere del governo rispetto a un problema che, invece, meriterebbe risposte frutto di una visione d'insieme e attenzione ai dettagli.
Ma c'è anche un altro aspetto. Napolitano ha riconosciuto che l'azione repressiva dei Pm e delle forze dell'ordine è fondamentale e anche se in passato ci sono stati «protagonismi» o «iniziative di dubbia sostenibilità» non si può certo dire che sia il caso della Procura di Roma. Mai come adesso si ha la conferma dell'importanza del ruolo e dei poteri del Procuratore della Repubblica. Napolitano lo ha ribadito, con pignoleria, e ogni riferimento allo scontro Bruti-Robledo alla Procura di Milano non è affatto casuale.

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