Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2014 alle ore 07:20.
L'ultima modifica è del 24 dicembre 2014 alle ore 09:02.

My24

Negli ultimi 50 anni in Asia l’integrazione ha assunto la forma della regionalizzazione, con la crescente circolazione di merci, servizi, capitali e persone, piuttosto che del regionalismo inteso come processo politico. E ha funzionato: quasi tutti i paesi sono usciti dal sottosviluppo ed è anche emersa una narrativa (di cui Kishore Mahbubani è bardo emblematico) in cui i valori asiatici sono superiori a quelli occidentali. Ora si sente la necessità di consolidare la regionalizzazione con più regionalismo, almeno a Sudest.

Fondata nel 1967 nel clima pesante della Guerra fredda, che nella regione era ben calda, Asean (Association of Southeast Asian Nations) raccoglie 10 membri e più di 600 milioni di persone. Dal 2001 il suo Pil si è moltiplicato per tre, un ritmo di crescita che solo la Cina ha sorpassato, e il Pil pro capite è raddoppiato, per raggiungere quasi 4 mila dollari l’anno. La povertà affligge un cittadino su sette, ma nel 2000 era 45% nei paesi più poveri (Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam) e 29% altrove. L’emergere dei ceti medi si è accompagnato allo sviluppo di multinazionali regionali, nei servizi (la malese Air Asia o i fast food filippini Jollibee) e nel manifatturiero (Thai Beverages o Siam Cement). L’Asean ha un segretariato e organizza un migliaio d’incontri inter-governativi l’anno. Ma non aveva particolari ambizioni di lungo periodo. Nel 2015 (doveva essere il 1 gennaio, ora è il 31 dicembre), però, si dovrebbe concretizzare il progetto di un mercato comune, l’Asean Economic Community (AEC). Se l’AEC si realizzerà, mercati più aperti, commercio più fluido e maggiori flussi d’investimento produrranno un surplus di ricchezza. Ma il successo non è garantito. Come al solito, il problema sta nella politica economy. Anche se più di 2/3 del commercio intra-regionale è libero da dazi, non pochi settori beneficiano di protezione tariffaria e non, e fanno resistenza: un quinto delle barriere che dovevano essere rimosse entro fine 2014 sono in piedi. Il paese più grande, l’Indonesia, ha una popolazione poco istruita e l’AEC creerebbe meno opportunità nell’immediato, mentre i professionisti più preparati potrebbero trovare opportunità più interessanti a Singapore o in Malesia. La facilitazione del commercio e le infrastrutture sono un altro punto dolente: solo metà del Master Plan on ASEAN Connectivity è stato implementato. L’Asean è poco presente nella vita quotidiana dei cittadini, che non la conoscono (il 75%) e non sono stati consultati sull’AEC (e del resto il pluralismo non è il punto forte della regione). Il paese più democratico è probabilmente l’Indonesia e non a caso il nuovo presidente Joko Widodo, che su altri temi è un riformista convinto, sulla liberalizzazione commerciale è cauto se non protezionista. È carente l’infrastruttura istituzionale – nulla di comparabile in termini di risorse (appena 16 milioni di dollari) e idee (solo 300 persone) alla Commissione di Bruxelles che, malgrado le lamentele, tanto ha fatto per costruire l’Europa. Infine ci sono i conflitti politici, tra cui la difficile situazione di Tailandia e Myanmar e l’aumento dell’estremismo religioso in molti paesi.

Come altrove, l’integrazione è il destino dell’Asia sud-orientale. Nella competizione globale nessun paese può pensare di prosperare da solo, neanche l’Indonesia e i suoi 250 milioni di abitanti, neppure Singapore e la sua provata capacità di governare una città-stato globale. Il dividendo poi non è da disprezzare – secondo una stima ADB-ILO, in 10 anni l’AEC accrescerebbe il Pil regionale del 7,1% e genererebbe 14 milioni di posti di lavoro.

La lista delle cose da fare è lunga, le condizioni per riuscire sono tre. L’approccio soft e il rispetto del principio di non interferenza rischiano di pregiudicare le riforme: una dose meno omeopatica di peer pressure e penalità per la noncompliance sarebbero utili. Poi meccanismi di compensazione che, senza ambire a diventare una politica regionale all’europea, possano incentivare l’aggiustamento strutturale. Infine una leadership che creda nel regionalismo e sia disposta a promuovere fiducia reciproca e identità condivisa. Il futuro dell’AEC non si deciderà nel 2015, ma nei prossimi anni sarà importante che l’Italia sia presente nella regione. Vari paesi, hanno aperto missioni diplomatiche per l’ASEAN, mentre la Francia ha nominato un rappresentante del ministro degli Esteri per favorire gli scambi e gli investimenti nelle due direzioni.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi