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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2014 alle ore 08:04.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2014 alle ore 09:29.

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La Grecia oggi decide il suo destino in Europa e in qualche modo anche quello dell'Eurozona.
Oggi infatti il Parlamento greco vota, per la terza e ultima volta, per l'elezione del presidente della Repubblica, e se non verrà raggiunto il quorum dei 180 voti su 300, si andrà al voto anticipato.

Per evitare questo scenario, che rischia di rimettere in gioco la permanenza di Atene nell'Eurozona e tutti i sacrifici fatti finora dai greci negli ultimi cinque anni di austerità prevista dal piano di aiuti della Troika, il premier greco, Antonis Samaras, ha fatto una proposta per uscire dalla paralisi del muro contro muro.
Il premier ha proposto un passo indietro rispetto alla sua posizione iniziale sulla nomina del nuovo presidente della Repubblica e ha annunciato un piano in quattro punti per superare l'impasse e coalizzare il consenso sul candidato del governo, Stavros Dimas, un ex commissario europeo, facilitando la sua nomina per evitare le elezioni anticipate.
Urne che «non si devono tenere ora: prima vanno concluse le trattative (in stallo) con i creditori internazionali e fatta la revisione della Costituzione in un clima di tranquillità e di sicurezza. Dopo, rafforzati politicamente ed economicamente, potremo concordare una data per le elezioni anche entro fine 2015», ha detto in un messaggio alle forze politiche il premier ellenico.

Il piano di Samaras prevede l'elezione del presidente della Repubblica da parte del Parlamento attuale, la revisione della Carta costituzionale, un rimpasto dell'esecutivo con la partecipazione di personalità filo-europee ed elezioni generali entro la fine del 2015 e non a fine legislatura nel giugno 2016.
Insomma, un modo per spaccare il fronte di chi vuole andare al voto anticipato a tamburo battente.
Il partito Sinistra democratica (Dimar), ago della bilancia, potrebbe lasciare libertà di voto ai suoi aderenti.
Syriza, il partito di sinistra radicale guidato da Alexis Tsipras, invece ha accusato Samaras di «temere il giudizio delle urne, che alla fine non riuscirà a evitare» e ha ribadito la propria posizione: elezioni subito.
I mercati, però, temono che il leader di Syriza, Alexis Tsipras, una volta vinte le elezioni politiche, dopo aver primeggiato in quelle europee di maggio, possa mettere i creditori internazionali di fronte a una scelta drammatica: o mi aiutate a ridurre il peso del debito pubblico ellenico, che oggi ha raggiunto il 175% del Pil, attraverso una ristrutturazione del 70-80% del debito e mi rendete meno pesanti le politiche di austerità conseguenti, oppure potremmo lasciare la moneta unica.

In entrambi i casi sarebbe un precedente pericoloso perché aprirebbe il vaso di Pandora di un'unione fiscale (indesiderata dai Paesi nordici) o della possibilità di uscire dall'euro (minacciata dai Paesi mediterranei). Due veti incrociati che rischiano di implodere ad Atene, ma che costringe la Ue a decidere finalmente del suo destino.

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