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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2015 alle ore 07:16.
L'ultima modifica è del 02 gennaio 2015 alle ore 08:16.

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Le istituzioni possono cambiarea di contenuto, pur mantenendo intatta la forma. Ed è ciò che è avvenuto alla presidenza della Repubblica, l’istituzione che rappresenta lo Stato in quanto tale. Oltre al ruolo di istituzione di garanzia, il Quirinale è diventato nel tempo il portavoce della comunità nazionale e, quindi, l’organo di collegamento tra l’Italia e i nostri partner europei e internazionali.
Questi ruoli diversi si sono assommati nel discorso di fine anno di Giorgio Napolitano. Un discorso rivolto primariamente agli italiani, ma anche a chi ci guarda dall’esterno. In realtà, poche istituzioni, come la presidenza della Repubblica, hanno assecondato, e a loro volta influenzato, il processo di europeizzazione della democrazia italiana. Naturalmente l’europeizzazione ha coinvolto anche l’istituzione del governo (a cominciare dalla presidenza del Consiglio), ma ciò ha avuto un carattere più vincolante che propositivo. Sui governi si sono scaricati i condizionamenti europei, ma assai di meno i governi sono riusciti a condizionare il processo integrativo.

Giorgio Napolitano ha invece influenzato la politica europea, non solo ne ha registrato l’impatto sulla politica interna. Il carattere monocratico della presidenza della Repubblica e la sua personale autorità gli hanno consentito di avanzare proposte coerenti nel tempo, come, ad esempio, l’obiettivo della federazione europea. L’europeizzazione della presidenza della Repubblica non era scontata. Altre istituzioni hanno faticato ad europeizzarsi. Si pensi al Parlamento, rimasto prigioniero di riti e miti assembleari, elaborati e istituzionalizzati quando (tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso) l’integrazione europea era più o meno una questione di politica estera. Oppure si pensi alle istituzioni regionali e locali che hanno continuato a comportarsi come organi di uno stato nazionale sovrano, spendendo e spandendo al di fuori di qualsivoglia considerazione sugli effetti di quelle scelte sugli altri paesi europei.

Se le funzioni di garanzia o di portavoce della comunità nazionale sono state svolte anche da altri presidenti, si può dire che la presidenza di Giorgio Napolitano è stata quella che più ha accentuato la missione europea del Quirinale. Perché questo è stato il contributo storico di Giorgio Napolitano: aver fatto, del Quirinale, un’istituzione europea, cioè il luogo dove ricomporre gli interessi nazionali con quelli del processo di integrazione. Infatti, nel suo discorso di fine d’anno, il presidente ha ricordato agli italiani il dovere di sostenere le riforme istituzionali ed economiche necessarie per fare ripartire il paese, ma ha sottolineato che quelle riforme sono necessarie proprio per rafforzare la stabilità dell’intera eurozona. Dopo il Trattato di Maastricht del 1992 e quindi con l’adozione della moneta comune gli stati nazionali europei si sono trasformati in stati membri dell’Unione. Questa trasformazione (definibile come europeizzazione) ha riguardato in particolare i paesi dell’eurozona, ma anche quelli esterni a quest’ultima. La distinzione tra politica domestica e politica europea è sempre meno possibile. Ciò che un paese riesce a fare al proprio interno dipende per larga parte dalle condizioni e regole del sistema europeo. Tuttavia, queste ultime non cadono dal cielo, ma dipendono dalla forza e dagli argomenti che i vari paesi riescono a portare a Bruxelles. Insomma, l’europeizzazione può essere subita, se l’integrazione europea è vista solamente come un vincolo esterno. Oppure può essere governata, se è vista come un processo politico influenzabile dalle preferenze nazionali.

Negli ultimi anni, la missione europea di Giorgio Napolitano è stata quella di indicare la duplicità del processo di integrazione. Il rafforzamento della missione europea del Quirinale dovrebbe costituire una preoccupazione comune dei leader politici italiani. È probabile che la riforma elettorale ed istituzionale, quando finalmente verranno approvate e implementate, porteranno a un ridimensionamento del ruolo istituzionale interno del presidente della Repubblica. Se la riforma elettorale riuscirà a promuovere governi coesi e la riforma del bicameralismo condurrà ad un processo legislativo più efficiente, allora è plausibile ipotizzare che il presidente della Repubblica riceverà meno pressioni a intervenire nel gioco politico domestico. Anche se, naturalmente, la sua funzione di garante del rispetto delle regole costituzionali continuerà ad essere necessaria e insostituibile. Tuttavia, se la presidenza della Repubblica è diventata sempre di più un’istituzione europea, allora il ridimensionamento delle sue responsabilità interne potrebbe rivelarsi utile per rafforzare la sua azione esterna. È augurabile che il Parlamento esca dalla sua introversione scegliendo un nuovo presidente (uomo o donna che sia) adeguato al compito di rafforzare l’influenza dell'Italia in Europa. L’Italia ha bisogno di un altro “presidente europeo”, qualcuno che sia in grado di sostenere l’azione del governo italiano nelle istituzioni e nei negoziati europei. Affinché l’Unione non sia solamente un vincolo esterno ma anche un sistema aperto ai nostri interessi legittimi, allora è necessario che l’Italia porti a Bruxelles la forza del suo governo ma anche la credibilità del suo Stato.

sfabbrini@luiss.it

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