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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 07:05.
L'ultima modifica è del 08 gennaio 2015 alle ore 08:09.

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È possibile ancora ridere trattando temi religiosi? Dopo l'attentato di ieri a Parigi, al settimanale satirico Charlie Hebdo con morti e feriti come in un'azione di guerra, la risposta diventa difficile. O meglio, è ritornato il tempo delle incomprensioni e quanto è lecito per taluni diventa un crimine per altri. La violenza, che mai è stata cacciata dalla storia, gioca la sua parte ancora una volta. Eppure nella Bibbia non è vietato il sorriso, anzi sovente è incoraggiato. Come possiamo immaginare gli innamorati del Cantico dei Cantici, che si inseguono in tutto il piccolo libricino del Primo Testamento, senza pensare ai loro risolini?

Gesù è descritto sovente dai Vangeli in ambiti conviviali: nessuno potrà sostenere che vi partecipasse tenendo il broncio, anche se la questione del “riso di Cristo” è stata argomento di dibattito dei teologi medievali. Lo stesso profeta dell'Islam, Muhammad, o Maometto come si usa dire a causa di una tradizione medievale, manifesta nella letteratura islamica un senso dell'umorismo. Basterà ricordare un passo da Vite e Detti di Maometto (Meridiani Mondadori 2014) per rendersene conto: «Una vecchietta si avvicina a Muhammad e gli chiede se mai troverà posto in Paradiso: “No”, risponde il Profeta con tono aspro, “nel Cielo di Allah non entrano le vecchie”. La donna resta raggelata dalla risposta, ma Muhammad sorride, le porge una rosa e sussurra:”Quando sarai in Paradiso, tornerai a essere la fanciulla bella e sana che fosti ”».

Poter sorridere di talune questioni religiose non significa irriderle o farsene beffa: è semplicemente concedersi uno spazio di libertà per esercitare una delle facoltà donate all'uomo dal Creatore. Henri Bergson, che ben aveva studiato l'argomento in un libro edito nel 1901 e tuttora fondamentale, Il riso. Saggio sul significato del comico, stabilì che la differenza tra l'uomo e la bestia risiede nella capacità di ridere. Intuizione che porterà taluni esponenti della psicologia delle folle, come Gustave Le Bon, a credere che si diventa criminali quando si smarrisce il senso dell'umorismo. La qual cosa è successa all'Inquisizione o alle dittature, allorché giunsero al punto di non riuscire più a sopportare anche lievi forme di ironia. D'altra parte, ne Il nome della rosa di Umberto Eco il venerabile Jorge è disposto a uccidere pur di non far conoscere il secondo libro della Poetica di Aristotele che tratta del comico, convinto nella sua intransigenza che il riso può distruggere il dogma. I morti e i feriti del Charlie Hebdo ricordano che le lancette dell'orologio della ragione umana sono tornate indietro di alcuni secoli.

Sovente si ride di talune interpretazioni di altri uomini e non certo di Dio: i fondamentalismi, quasi sempre, dimenticano di distinguere i due aspetti. Ci confidava Gianantonio Borgonovo, esegeta biblico e arciprete del Duomo di Milano: «Una religione che pensa di agire in nome di Dio è falsa per sua natura, perché è Dio che muove all'azione l'uomo. Un Dio che uccide l'altro non può essere il vero Dio ma è una creazione della nostra mente. Dio fa vivere, non vuole la morte dell'altro». Prova ne è che l'episodio di Isacco (in ebraico codesto nome significa “Dio sorrida” o “Dio sorride”), nel capitolo 22 della Genesi: il Signore mette alla prova Abramo chiedendogli di sacrificare suo figlio ma poi un angelo lo ferma. Dio non vuole la morte del giovane ma desidera che egli continui a vivere; insomma, il primo libro della Bibbia evidenzia che non ci sono giustificazioni per uccidere in nome dell'Altissimo. E Paolo nella Lettera ai Filippesi scrive quasi a conclusione dell'argomento in questione: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (4,4).

Tra l'altro, la critica occidentale alle istituzioni religiose o a talune condotte dei loro rappresentanti, da almeno tre secoli a questa parte, si è coniugata attraverso ogni mezzo di comunicazione con il liberalismo e la democrazia. Le osservazioni potevano essere o no condivise, ma si è almeno imparato che esse non si risolvono con la violenza. La Chiesa è più credibile (e ha maggior forza morale) da quando l'Inquisizione ha smesso di accendere roghi. Si potrà non condividere l'attacco che Voltaire fa al Corano nel Dizionario filosofico, ma se ne bruciassimo le copie faremmo un favore al celebre illuminista. E così va detto delle dure parole scritte da Arthur Schopenhauer ne Il mondo come volontà e rappresentazione sul medesimo argomento. L'Islam fu criticato da personaggi quali George Bernard Shaw o Rabindranath Tagore, da politici come Theodore Roosevelt o Winston Churchill o dal padre della patria turco Mustafa Kemal Atatürk (tra l'altro, depenalizzò le bevande alcoliche), da pensatori notissimi quali Bertrand Russell o Carl Gustav Jung. La miglior risposta che ad essi è possibile dare passa dalle argomentazioni, non certo ricorrendo a censure e violenza.

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