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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 08 gennaio 2015 alle ore 07:54.

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Otmar Issing, un ex membro della Bce, diede una conferenza nel 2002 dal titolo: «L'euro quattro anni dopo: c'è un rischio di deflazione?». Molta acqua è passata sotto i ponti, ma la deflazione è finalmente arrivata. Il dato di dicembre porta sotto zero il tasso di inflazione per l'area euro.

La deflazione è un “male derivato”, sintomo di una pochezza di domanda che spinge a contenimenti selvaggi dei costi e dei margini; ma, dato che costi e margini sono redditi di qualcuno, questo contenimento si mangia la coda e perpetua quella carenza di domanda che si traduce - vedi l'altro dato di ieri - in disoccupazione che cresce, specie fra i giovani.
Qualche ottimista potrebbe dire che questa deflazione è un portato del crollo dei prezzi del petrolio, un crollo che per i Paesi consumatori ha più vantaggi che svantaggi. E potrebbe anche osservare che l'inflazione “di base” (esclude i beni energetici e alimentari) è ancora sopra zero. Il problema però è che anche un'inflazione di base dello +0,8% (per l'area euro) è lontana dall'obiettivo della Bce di un tasso «inferiore ma vicino» al 2%.

Non ci sono più scuse o rinvii che possano ostacolare l'adozione di misure di espansione quantitativa della moneta. Già più di 10 anni fa, in un rapporto del Fondo monetario sulla deflazione, si diceva che i rischi di misure non convenzionali di politica monetaria esistono ma impallidiscono di fronte ai rischi di un radicarsi delle attese di deflazione nei comportamenti di spesa. E, in un profetico monito, il rapporto scrisse che la risposta monetaria non deve essere ostaggio delle riforme strutturali: «Una delle lezioni chiave degli eventi che portarono alla Grande depressione negli Stati Uniti fu l'infondata - e in ultima analisi catastrofica - enfasi sulle riforme a spese dell'espansione monetaria».

Glenn Stevens, governatore della Reserve Bank australiana, disse che quando una Banca centrale deve decidere qualcosa deve chiedersi: «Quale mossa, fra quelle che potrei fare, è quella della quale potrei maggiormente pentirmi?». Speriamo che anche i “dubbiosi” della Bce, a partire da Jens Weidmann, si pongano questa domanda.

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