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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2015 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 09 gennaio 2015 alle ore 11:30.

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La notizia è rimbalzata ovunque: l’Europa è di nuovo alle prese con una possibile uscita della Grecia dall’euro e si interroga se una “Grexit” sarebbe d’aiuto o meno alla Grecia e se ci sarebbe un rischio di contagio ad altri Paesi dell’eurozona. Naturalmente, il grande punto di domanda è come il sistema finanziario greco potrebbe sopravvivere alla defezione con la ristrutturazione del debito in corso, quanto tempo ci vorrà perché la Grecia possa accedere nuovamente ai mercati finanziari e quale sarà il vantaggio di una ristrutturazione del debito sotto il peso di un tasso di interesse relativamente basso, senza poi contare che verrebbe a mancare l’aiuto esterno. Tutti questi elementi giocano chiaramente a sfavore di un’uscita, ma non è di questo che voglio parlare.

Vorrei soffermarmi sull’argomentazione illustrata chiaramente da Hans-Werner Sinn dell’Ifo Institut di Monaco secondo la quale la Grecia deve uscire per svalutare, recuperare competitività e riprendere a crescere.

Ma guardiamo i dati: dal 2007 in poi, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno tutti operato aggiustamenti molto importanti delle partite correnti passando da disavanzi elevati all’equilibrio o al surplus. Tuttavia, la composizione dell’aggiustamento è stata molto diversa. In Irlanda, Spagna e Portogallo, la parte più importante dell’aggiustamento è venuta da un incremento delle esportazioni, i tre Paesi sono riusciti a cambiare le strutture produttive registrando un aumento sensibile delle esportazioni, un aggiustamento auspicabile e sano che dimostra tra l’altro come non sia stata una compressione della domanda a guidare l’aggiustamento esterno. Anche in Italia, l’aumento delle esportazioni è stato maggiore rispetto al calo delle importazioni. Per la Grecia non è andata così. L'aggiustamento greco è stato quasi esclusivamente guidato da una contrazione delle importazioni, mentre solo da poco le esportazioni hanno registrato un saldo positivo (vedi grafico nr. 1).

Il grande problema che ostacola le esportazioni greche sono i salari elevati? La diversità dell’aggiustamento greco è perlopiù dovuta all’assenza di un vero deprezzamento rispetto agli altri Paesi dell’eurozona? Come mostrano i dati del grafico nr. 2, i salari orari del settore privato sono scesi moltissimo in Grecia e sono i più bassi dell’eurozona – con l’eccezione di Lettonia e Lituania – diversamente da Irlanda, Spagna e Portogallo in cui i salari orari del settore privato sono aumentati.
Confrontando la variazione delle esportazioni con quella dei salari del settore privato, si vede chiaramente che la Grecia si differenzia dagli altri Paesi, come è stato illustrato dal collega Zsolt Darvas (http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1215-export-and-unit-labour-cost-adjustment-close-association-in-eu15). Nonostante un significativo aggiustamento salariale, le esportazioni non sono lievitate come negli altri Paesi.

Per concludere, all’economia greca un rapido deprezzamento non gioverebbe come sperato. La scarsa performance delle esportazioni greche è fondamentalmente dovuta ad altri fattori come prodotti di mercato rigidi, un sistema politico che impedisce un vero cambiamento e garantisce i privilegi di pochi, la mancanza di meritocrazia, per citarne alcuni, come spiega bene Theodore Pelagidis su Brookings (http://www.brookings.edu/blogs/up-front/posts/2015/01/05-greece-assessment-syriza-political-risk-pelagidis).
Se la Troika potrebbe accompagnare il Paese nel processo di cambiamento, un’uscita della Grecia dall’euro si rivelerebbe del tutto controproducente.

È improbabile che l’uscita possa essere di grande aiuto, visto che le esportazioni non rispondono molto alle variazioni dei costi salariali, causa la sclerosi che affligge l’economia greca. Questo non significa che l’attuale traiettoria e il livello del debito siano sostenibili, potrebbe essere necessario un ulteriore alleggerimento del debito greco, soprattutto se l’inflazione rimane bassa e la crescita è più debole di quanto la Troika non creda. È stato fatto tante volte dai creditori e la maturità media del debito europeo è già di trent’anni; potrebbe essere alzata se necessario, riducendo ulteriormente il fardello del debito, e potrei persino prevedere una riduzione del debito nominale a un certo punto. Tuttavia, l’uscita greca non solo creerebbe forti turbolenze sul mercato, farebbe aumentare i costi del prestito per le imprese e la popolazione e provocherebbe un’instabilità geopolitica, ma, come ho spiegato, difficilmente potrà essere di grande aiuto all’economia, con le esportazioni poco sensibili alle variazioni dei costi salariali a causa della sclerosi che attanaglia l'economia ellenica.

(Traduzione di Francesca Novajra)
Guntram B. Wolff è il direttore del centro europeo di studi economici Bruegel


http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1530-why-grexit-would-not-help-greece/

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