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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2015 alle ore 06:56.
L'ultima modifica è del 09 gennaio 2015 alle ore 08:11.

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Dal centro di Parigi, cuore dell’Europa, all’ignota Baga, un punto sulla mappa affacciato sul Lago Chad dove i Boko Haram avrebbero massacrato duemila persone cancellando la città dalla carta geografica. È questo il cuore di tenebra di un fanatismo islamico che la Nigeria, una potenza con 180 milioni di abitanti ed enormi riserve di petrolio, non riesce a sconfiggere.

Il Lago Chad ci appare remoto, la Nigeria lontana, ma i Boko Haram in soli quattro anni stanno conquistando territori e basi militari nel Nord di un Paese che rappresenta un terzo dell’economia subsahariana: nel 2014, a seguito di una crescita tambureggiante, la Nigeria ha scavalcato ampiamente il Sudafrica con un Pil di 509 miliardi di dollari. I progressi sono stati formidabili, uniti a una dimensione demografica che non può essere ignorata: tra un paio di decenni la Nigeria conterà oltre 300 milioni di abitanti. Una recente indagine del Wall Street Journal afferma che questo paese è in cima alla lista dei mercati di frontiera più promettenti. Ma c’è un’altra metà della storia che potrebbe sbriciolare il gigante dell’Africa e frantumare le speranze di crescita di un intero continente con conseguenze devastanti per la stabilità di tutta l’Africa occidentale e ben oltre. Possiamo ignorarlo? La storia drammatica della Nigeria ci racconta due cose. La prima che i musulmani stessi, oltre ai cristiani massacrati nei pogrom, sono le maggiori vittime del terrorismo islamico; la seconda che un altro Stato, pilastro comunque di un’area vastissima, rischia di sprofondare allargando i buchi i neri di una carta geografica che dal Medio Oriente alle sponde del Mediterraneo fino al cuore dell’Africa si sta disfacendo in entità sempre più incontrollabili. I Boko Haram, che significa in pidgin «l’educazione occidentale è proibita», stanno avanzando, minacciano direttamente il Camerun, i confini del Chad e hanno ormai l’ambizione di affiancare il loro sanguinario Califfato Nero, guidato da Abubakr Shekaku, a quello mesopotamico di Abu Bakr al Baghdadi. L’ideologia è ancora più rozza e violenta dello Stato islamico proclamato a cavallo tra Siria e Iraq - calamita del jihadismo internazionale e centro di addestramento dei terroristi che tornano a colpire in Europa - ma la pericolosità dei Boko Haram non può essere sottovalutata: stanno dimostrando capacità militari consistenti e mettono in fuga interi contingenti dell’esercito nigeriano che al Nord si è sfaldato e con il morale a terra, non meno di quanto appariva mesi fa quello iracheno di fronte all’offensiva dell’Isil. I metodi dei Boko Haram sono gli stessi ma esercitati con una violenza ancora maggiore del Califfato arabo: uccidere, massacrare, terrorizzare, al punto che i militari si arrendono senza combattere e le popolazioni dei villaggi fuggono ancora prima dell’arrivo dei miliziani. Taglieggiamenti, esecuzioni indiscriminate per chi non si sottomette alla sharia, rapimenti di giovani donne, che vengono assoggettate come schiave, trattate come merce di scambio al mercato e assimilate al bestiame. Tutto questo non ha nulla a che fare con l’Islam, neppure con le versioni del Corano più rigide e tradizionaliste, ma riprende comportamenti tribali e clanici regressivi che fanno presa su una parte del paese assai povera, che non partecipa alla spartizione della manna petrolifera, abbandonata a un destino marginale, senza servizi sociali e istruzione. Lo Stato in molte parti della Nigeria se ne è andato prima ancora che nel 2002 nascessero i Boko Haram e ha lasciato a rappresentarlo una classe politica corrotta e incapace. La povertà, culturale, morale ed economica, è la chiave del successo dei Boko Haram, che consente il reclutamento di giovani senza speranze e anche di donne, che ora vengono addestrate per gli attentati kamikaze. Il movimento ha già dimostrato di sapere come colpire nel mucchio con attentati devastanti anche nelle maggiori città della Nigeria.

A un mese dalle elezioni di febbraio, il governo del presidente Goodluck Jonathan sembra incapace di frenare i terroristi. Ma questo leader del Sud, cristiano di etnia ijaw, appare fiducioso di poter battere il suo avversario, Muahammad Buhari, un musulmano che era già stato al governo con i militari negli anni Ottanta.
Non è preoccupato di perdere i voti del Nord, ritiene che i successi economici lo possano mantenere in sella. Forse nel breve periodo ha ragione ma questo è un Paese federale con 36 stati e 350 etnie, caratterizzato da divisioni inconciliabili e dalle profonde rivalità religiose tra cristiani e musulmani: se esplode può travolgere chiunque. Anche gli interessi petroliferi delle multinazionali esposti alle tragiche vicende del vacillante colosso africano.

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