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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2015 alle ore 10:07.
L'ultima modifica è del 10 gennaio 2015 alle ore 10:07.

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Nei prossimi 15 giorni l'Eurozona avrà due appuntamenti “cruciali”: quello della riunione del consiglio direttivo della Bce e quello delle elezioni politiche in Grecia. La qualificazione degli appuntamenti non è univoca come vedremo. Sullo sfondo si staglia invece la Germania da cui dipende, senza possibili diverse interpretazioni, la soluzione della crisi della Eurozona. Esaminiamo allora queste prospettive dopo sei anni di crisi che hanno creato un danno di portata epocale all'economia reale, all'occupazione e alla competitività dell'Eurozona. Se aspettiamo un “miracolo” questo dovrebbe riguardare più la Germania che le scelte della Bce e l'esito delle elezioni greche.

Le scelte della Bce. Francoforte non usa ormai più artifici verbali e parla di deflazione. Purtroppo non ha la bacchetta magica per farla scomparire. Infatti non si tratta solo di una dinamica dei prezzi tendente allo zero ma anche del potere d'acquisto dei consumatori che in molti Paesi è fermo o ancora in regresso (causa l'alta disoccupazione e i vincoli di bilancio) con l'aggiunta della fiducia di imprese e famiglie fiaccata. In queste condizioni l'obiettivo della Bce di riportare la crescita dei prezzi verso il 2% è davvero arduo tanto quanto lo è quello di ridare spinta alla domanda di consumi e di investimenti immettendo liquidità nell'economia (quantitative easing). La notizia che la Bce si accinge a comperare titoli di stato dei Paesi della Uem per un importo che va da 500 a 1.000 miliardi di euro non significa affatto che questa liquidità arriverà alle famiglie e alle imprese.

Lo dimostra il modesto successo della operazione del Tlrtro (ovvero della concessione di prestiti alle banche affinchè facciano crediti ) malgrado il livello dei tassi di interesse ai minimi storici. Le banche prestano poco perché non c'è domanda sana di credito, perché i coefficienti patrimoniali (che vengono anche aggravati all'improvviso come risulterebbe dalla lettera della Bce alle banche italiane) non consentono di assumere rischi bancari e quindi ci si adagia sui titoli di stato sotto l'ombrello (QE) della Bce. Se poi la Bce, vista la nota opposizione della Germania al QE, attuasse una selezione in base ai rating dei titoli stessi, potrebbero essere esclusi vari Paesi dove la crisi è stata più forte.

Un effetto positivo del QE è invece più probabile. E cioè un ulteriore indebolimento dell'euro con effetti di spinta sulle esportazioni europee senza corrispondenti rischi sui costi di importazione dei prodotti energetici, visto l'attuale crollo dei prezzi. La nostra conclusione è che il QE arriva troppo tardi per risolvere i problemi di rilancio della crescita e della occupazione europea. Ciò non significa, però, che la Bce abbia esaurito le proprie capacità di intervento e non solo per l'intelligenza strategica di Draghi.

La Grecia. L'idea che Atene possa risolvere i suoi problemi per la forza politica innovativa di Alexis Tsipras, nel caso di vittoria di Syriza alla elezioni, è molto debole Come lo è la preoccupazione delle Cancellerie e della Commissione europea per questa vittoria che, si teme, potrebbe spingere la Grecia a scelte radicali come quella dell'uscita dall'euro o della rinegoziazione del debito. Non bisogna infatti dimenticare come la Grecia - che nella crisi ha perso più di del 30% del suo Pil, con una disoccupazione al 30% (su un tasso di occupazione di circa il 50%) - sopravvive per i prestiti dentro il programma della troika e la liquidità erogata dalla Bce. Tsipras non ne è certo inconsapevole.

La domanda che l'Eurozona dovrebbe porsi è però un'altra. E cioè: fino a che punto si può portare la crisi sociale in un Paese che, pur avendo ampiamente demeritato, non potrà risollevarsi da solo. In altri termini: visto che la Grecia ha fatto molte dolorose ristrutturazioni del suo ipertrofico settore pubblico, non è giunto il momento per contribuire al rilancio della sua economia reale con un programma europeo di investimenti infrastrutturali in regime di commissariamento europeo per evitare il disastroso “effetto olimpiadi”?

La Germania. Abbiamo voluto porre dei quesiti-proposta in termini molto netti con riferimento alla Grecia (pur sapendo che la risposta non potrà essere positiva) per (ri)fare due proposte meno “radicali”. La prima è nota e riguarda l'emissione di eurodond da parte dello Esm con successivo acquisto dalla Bce e l'utilizzo del ricavato per finanziare un piano Juncker di investimenti moltiplicato per 5 ovvero per 1.500 miliardi. Questa soluzione di QE “europeizzato” dovrebbe essere ben più accettabile dalla Germania di quanto non sia un QE “nazionalizzato”.

La seconda viene da un recente studio del Fmi secondo il quale la spinta alla crescita in Germania si indebolirà progressivamente (anche per l'invecchiamento della popolazione) a meno che Berlino attui un massiccio programma di investimenti infrastrutturali per rinnovare il suo stock invecchiato. Un incremento di mezzo punto di Pil in questi investimenti per 4 anni generebbe un aumento durevole di Pil dello 0,75% in Germania con effetti indotti su tutta l'Eurozona e in particolare sui cosiddetti cinque Paesi periferici (tra cui l'Italia) dove la crescita aumenterebbe in media dello 0,33% del Pil. Con i suoi surplus e con i tassi che sui decennali sono sotto lo 0,5% la Germania può agire senza rischi.

Questa sarebbe una politica (minima) di convenienza nazionale che genera quella solidarietà creativa europea senza la quale la crisi sociale è più di un rischio, come lo sono i riflussi nazionalistici.

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