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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2015 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 16 gennaio 2015 alle ore 08:38.

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Socialismo. «C'era un operaio, all'inizio del secolo scorso, nella sua fabbrica, a Reggio Emilia, che faceva una gran propaganda al socialismo, e un altro operaio a un bel momento gli aveva chiesto: “Ma te che parli sempre del socialismo, ma cosa succede poi, quando viene il socialismo?”. E quello là: “Quando viene il socialismo - gli aveva risposto - succedon delle cose così belle che non si possono neanche raccontare”».

Baci. «Quel mattino guardavo i baci ero lì che facevo kiss spotting sul binario 19 della stazione di Bologna».

Italiano. «E la cosa che mi aveva colpito più di tutte, quel primo giorno, era stato quel bambino che si era messo a piangere e mi era venuto da pensare a uno scrittore italiano che era stato un po' in Eritrea, che è un posto dove gli italiani hanno fatto un po' di disastri, con le loro manie coloniali, e quello scrittore italiano, che è uno che io avevo avuto l'occasione di interpretarlo, una sera di tanti anni prima, a Bologna (si chiama Carlo Lucarelli), quello scrittore italiano mi aveva detto che lui era rimasto colpito dal fatto che a lui, da piccolo, gli dicevano: «Se non stai fermo chiamo l'uomo nero», agli eritrei, da piccoli, gli dicevano «Se non stai buono chiamo l'italiano», cioè l'uomo bianco, e i bambini eritrei piangevano».

Russi. «Io capivo Turgenev quando diceva: “L'uomo russo è buono soprattutto per il fatto di avere di se stesso una pessima opinione”».

Bolognese. «Prima di tornare in aeroporto avevamo pranzato in un ristorante della capitale, che è Dakar, quella della Parigi-Dakar, e in quel ristorante lì, nel menu, c'eran gli spaghetti alla bolognese, che è un piatto che, io abitavo a Bologna da venticinque anni, e quel piatto lì secondo me si poteva mangiare in tutti i ristoranti di quasi tutte le città del mondo tranne che a Bologna, cioè a Bologna non esistevano, gli spaghetti alla bolognese, e io avevo pensato che se uno avesse aperto un ristorante senegalese a Bologna, avrebbe potuto metterlo, nel menu, come specialità senegalese, gli spaghetti alla bolognese».

Fine. «Nella città ci sono due inizi, e in mezzo, proprio in mezzo, c'è la fine».

Siena. «Ma soprattutto, soprattutto, rifare a piedi, con lo zaino sulle spalle, la strada da Monte San Savino a Siena, costeggiare quella campagna di ulivi e di viti, di cui sento ancora l'odore, percorrere quelle colline di tufo bluastro che s'estendono sino all'orizzonte, e vedere allora Siena sorgere nel sole che tramonta con tutti i suoi minareti, come una perfetta Costantinopoli, arrivarci di notte, solo e senza soldi, dormire accanto a una fontana ed essere il primo sul Campo a forma di palmo, come una mano che offre ciò che l'uomo, dopo la Grecia, ha fatto di più grande. Sì, vorrei rivedere la piazza inclinata di Arezzo, la conchiglia del Campo di Siena e mangiare ancora i cocomeri per le strade calde di Verona. Quando sarò vecchio, vorrei che mi venisse concesso di tornare su quella strada di Siena, che non ha eguali al mondo, e di morirvi in un fossato, circondato soltanto dalla bontà di quegli italiani sconosciuti che io amo» (Albert Camus).

Titolo. «Questo romanzo si è intitolato Come mai questo titolo?, Ricordiamoci che siamo vivi, Sono contento di morire ma mi dispiace, L'Emilia vista dal treno, Siamo buoni se siamo buoni».
Notizie tratte da: Paolo Nori, Siamo buoni se siamo buoni, Marcos y Marcos, Milano. Pagine 218, euro 15.

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