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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2015 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 19 gennaio 2015 alle ore 15:35.

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Giovedì la Bce dovrebbe annunciare un ampio programma di acquisto di titoli (Quantitative easing, Qe) con l'obiettivo di riportare il livello dell'inflazione dell'area euro verso il 2 per cento. Acquistando titoli pubblici, molto presenti nei portafogli delle banche, la Bce si augura di incentivare il sistema bancario a usare la liquidità per aumentare il credito all'economia. Secondo i sostenitori, l'operazione della Bce rappresenta una svolta per la crisi: le banche aumenteranno i prestiti e l'economia crescerà, inoltre il mercato dei titoli sovrani si stabilizzerà togliendo agli investitori il maggiore fattore di incertezza sul futuro dell'area euro, infine l'aumento dei prezzi ridurrà il valore reale dei debiti e sarà accompagnato da un deprezzamento dell'euro.

Tuttavia, più si avvicina l'annuncio della Bce e più aumentano le voci di chi ritiene che nell'area euro il Qe non avrà grandi effetti. Gli scettici sostengono che l'impatto del Qe negli Usa non sia stato ampio né permanente; che i tassi europei siano già molto bassi; che le banche europee continueranno a preferire di non concedere prestiti.
L'esperienza americana ha parecchio da insegnare. Secondo ricerche recenti (tra le altre quelle di Kohn e di Gagnon), le operazioni della Fed hanno ridotto il livello reale dei tassi d'interesse a lungo termine e il tasso di cambio del dollaro. La crescita Usa è oggi vigorosa, nonostante la politica di bilancio sia dal 2011 neutrale o restrittiva. Il fatto che i tassi di interesse a lungo termine siano stati sempre inferiori al tasso di crescita ha consentito di ridurre i debiti di imprese e famiglie senza frenare investimenti e consumi.

Se si guarda in Europa lo stesso rapporto tra tassi a lunga e crescita, si vede che esso spiega l'avvitarsi della crisi nei Paesi in cui il tasso di crescita già in partenza era inferiore al livello dei tassi a lungo termine. Se il Qe europeo riuscisse come quello americano a ridurre i tassi a lunga, le prospettive di crescita dell'area euro potrebbero dunque migliorare.
Chi osserva il Qe con scetticismo ritiene però che un sistema bancocentrico come quello europeo sia meno efficace nell'influenzare il prezzo delle attività a lungo termine. Le banche europee continuerebbero a non concedere credito e a ridepositare la liquidità presso la Bce, a costo di subire una perdita visti i tassi negativi (-0,25%) offerti dalla Banca centrale. Con un'inflazione sotto zero, infatti, anche un tasso negativo può essere accettabile a fronte di impieghi che restano rischiosi e che sono penalizzati dal nuovo sistema di vigilanza bancaria molto stringente.

Dall'ottobre 2008 la Bce ha lasciato che fosse la domanda delle banche a determinare l'offerta di moneta, ma nonostante l'abbondante liquidità il risultato è stata la contrazione dei volumi del credito e del bilancio della Banca centrale, in marcata controtendenza con i bilanci delle banche centrali del resto del mondo. In sostanza, senza crescita anche il Qe potrebbe non essere sufficiente. Per questa ragione il presidente Draghi, lo scorso agosto, aveva chiesto che il Qe coincidesse con un ampio programma di investimenti e con politiche fiscali meno restrittive.
Purtroppo il piano per gli investimenti proposto dalla Commissione europea è apparso subito poco convincente, mentre le politiche fiscali sono state allentate dalle recentissime disposizioni della Commissione, ma solo per alcuni Paesi. Il deprezzamento dell'euro e il calo del prezzo del petrolio stanno migliorando le condizioni per la crescita, ma resta un problema di credibilità che riguarda sia le politiche di crescita sia la tenuta dell'area euro.

L'ultimo problema di credibilità riguarda proprio il Qe: se, come richiesto dalla Bundesbank, gli acquisti di titoli sovrani facessero capo alle banche centrali nazionali - se cioè non ci fosse mutualizzazione del rischio sovrano – l'intervento non ridurrebbe, anzi aggraverebbe, il rischio latente di rottura dell'euro o quanto meno la frammentazione del sistema finanziario dell'area euro. È molto probabile che la Bce acquisti direttamente anche titoli sovrani. L'obiettivo di stabilizzare l'inflazione mette in secondo piano il controverso carattere fiscale dell'intervento – i rischi vengono mutualizzati – che suscita problemi di legittimità.
Un mese fa il presidente della Bundesbank ha spiegato la sua contrarietà all'ipotesi che la Bce segua la Fed sulla strada del Qe: «Negli Usa c'è uno Stato centrale che emette titoli sovrani che sono molto sicuri, noi non abbiamo uno Stato centrale».
Al fondo della questione, cioè, resta la credibilità dell'unione monetaria in assenza di unione politica e in particolare la legittimità di una corresponsabilità fiscale priva di controllo democratico. La risposta della Bundesbank è quella di frenare il progetto. È la risposta sbagliata, ma la domanda sul futuro dell'unione politica è quella giusta.

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