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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2015 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2015 alle ore 09:06.

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DAVOS - «Tassi di interesse bassi, dollaro forte, petrolio ai minimi: tutti gli ingredienti per la ripresa europea sono sul tavolo, ora aspettiamo lo chef per cucinare». Così Domenico Siniscalco, vice presidente di Morgan Stanley ed ex ministro del Tesoro italiano, sintetizza così lo stato del 45esimo Wordl economic forum al primo giorno dei lavori. Un Wef dove Claudio Descalzi, a.d. dell'Eni ha preso il ruolo di protagonsita lanciando la proposta choc di un Opec come «banca centrale del petrolio».

Un Wef di “cauto attendismo”, su quanto deciderà oggi la Bce (pare 50 miliardi di euro al mese di acquisti di bond), su come voteranno i greci domenica prossima, se il presidente ucraino Petro Poroshenko, dopo aver accusato Mosca di aver dispiegato 9mila uomini sul suolo ucraino, arriverà a un'intesa con il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, che lo ha incontrato in meeting riservato ieri a Davos per discutere del debito galoppante.

Certo la serata dell'altro ieri tenuta all'InterContinental a Davos intitolata “una moderna atmosfera russa” e offerta dalla banca statale moscovita VTB, dove si sono versati fiumi di vodka e offerto caviale senza risparmio in un clima di fasto senza limiti allietata dalle canzoni del chitarrista Al Di Meola vincitore di un premio Grammy – dopo che la banca stessa aveva licenziato molti dipendenti in esubero per le sanzioni occidentali – non sono apparsi ai top leader occientali un segnale conciliante di Mosca.

Le tensioni globali non sono affatto finite. Amr Moussa, ex ministro degli Esteri egiziano di Mubarak, nei corridoi del Wef, ha ribattuto a chi gli chiedeva come va l'Egitto, chiedendo a sua volta come finiranno le elezioni greche di domenica? Ognuno ha le sue pene e poche certezze da offrire. “Volatilità dei mercati” è stato il seminario più gettonato con una lunga fila di partecipanti esclusi.

E sul sistema finanziario? «C'è molta aspettativa per la reingegnerizzazione del sistema finanziario che è stato finora curato ma non ricostituito su dimensioni europee omogenee», ha ricordato Giuseppe Recchi, presidente di Telecom Italia. Meno ottimista sul futuro della crescita globale è stato Kenneth Rogoff, professore alla Harvard Univerity, secondo cui il «Q.E. della Bce è solo l'inizio del viaggio» dopo sei anni di ritardo rispetto alla Fed. Rogoff ha posto l'attenzione dei partecipanti «sulla Cina come maggior rischio per gli investitori del 2015». Un gioco quelle delle previsioni azzardarte che a Davos va molto di moda, perché se lo azzecchi diventi famoso, se lo sbagli nessuno lo ricorda. Insomma il professor Rogoff, autore del fortunato libro sulla crisi magiore dagli anni 30, «Questa volta è diverso», ammette che se «l'Europa non riparte e la Cina va a fondo, per gli Stati Uniti cominceranno problemi seri».

Una posizione non certo rassicurante a cui si è associata la consueta lamentazione di Axel Weber, l'ex presidente della Bundesbank oggi a.d. di Ubs che per un soffio perse l'occasione di diventare presidente della Bce, che ha ricordato che se i paesi dell'eurozona «non attuano riforme strutturali efficaci, la sostenibilità dell'euro resta in dubbio». Per Weber la politica monetaria della Bce «ha fatto guadagnare tempo ai governi ma questo tempo non è stato sfruttato per fare le riforme». Meno male che ha perso la partita con Draghi per diventare presidente della Bce. Duro Carlo Messina, l'a.d. di IntesaSanPaolo, sulla gestione europea della crisi greca: parlando alla Cnbc a Davos Messina ha ricordato che «se per una questione del 5% un ceo mettesse in discussione tutto il restante patrimonio, allora andrebbe licenziato».

Quanto al petrolio basso a 50 dollari al barile, se per la maggioranza dei partecipanti è un asso nella manica della ripresa globale che appare ancora fragile per le compagnie petrolifere è un disastro nei profitti. Al punto che l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, ha lanciato la proposta rivoluzionaria a Davos: l'Opec deve fungere da «Banca centrale del Petrolio e in coordinamento con i grossi produttori deve puntare alla stabilità dei prezzi del greggio» nel medio lungo periodo.

«Quello che fa paura non è il prezzo basso del petrolio, ma sono le oscillazioni dei prezzi, che ci portano a non decifrare il futuro, cioè come e quanto possiamo investire», ha aggiunto il ceo. Queste oscillazioni «sono terribili, insostenibili, è qualcosa che dobbiamo evitare, abbiamo bisogno di una banca centrale che stabilizzi i prezzi del petrolio altrimenti ci distruggeremo». Per Descalzi, l'Opec, data l'importanza della sua produzione, «deve giocare un ruolo e lo giocherà», trovando un coordinamento con i grandi produttori per arrivare a una stabilizzazione. Il rischio che si potrebbe profilare nel futuro è un grosso rimbalzo dei prezzi. «Adesso se è vero che il settore riduce il capex, è anche vero che riduciamo la produzione. Noi lavoriamo su lunghi cicli. Se tagliamo per anni la produzione, poi in futuro avremo un rimbalzo anche a 200 dollari», ha aggiunto Descalzi, facendo sobbalzare gli astanti e sottolineando quindi la necessità di un coordinamento come sistema tra produttori e consumatori.

Una proposta destinata a far discutere i partecipanti ai lavori del World Economic Forum. Ma d'altra parte Davos non serve proprio a lanciare idee provocatorie per migliorare il nostro futuro?

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