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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2015 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2015 alle ore 14:30.

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(Epa)(Epa)

«Il problema del Qe è che funziona nella pratica, ma non nella teoria». Forse ha ragione Bernanke, ex presidente della Fed: se si ascoltano i teorici l'efficacia di questo «bazooka» monetario sembra sempre incerta, ma in pratica un effetto positivo c'è. O forse hanno ragione i tanti economisti che mostrano scetticismo verso la versione europea del «quantitative easing»: secondo un sondaggio condotto da Rbs, solo il 4% degli intervistati ritiene che il «bazooka» di Draghi riuscirà a risollevare sia l'inflazione sia l'economia europea.

La domanda è proprio questa: il «quantitative easing» funzionerà? Hanno ragione Bernanke o gli scettici? La risposta giusta è probabilmente quella che sta nel mezzo: alcuni effetti benefici ci saranno (in parte si sono già sentiti), ma forse non tanti come negli Usa. Ecco perché.

I benefici del bazooka
Con il «Quantitative easing» la banca centrale fa una cosa semplicissima: stampa moneta e con i soldi “nuovi” compra sul mercato finanziario titoli di Stato (o di altro tipo). Il primo effetto di questa manovra è sul cambio: più si stampa moneta, infatti, più la valuta si deprezza. Questo effetto in Europa c'è in gran parte già stato, perché il mercato si è mosso in anticipo sulla Bce: l'euro dallo scorso giugno ha infatti perso il 16% sul dollaro e il 7,8% sulle valute dei 19 maggiori partner commerciali dell'Europa. La svalutazione offre un indubbio sostegno all'export Ue. Anche per un Paese come l'Italia, il cui Pil è prodotto per il 30% proprio dalle esportazioni e che ha un importante settore turistico.

L'altro effetto positivo, in parte già registrato perché il mercato finanziario si è mosso d'anticipo, è sui tassi d'interesse. Se la Bce compra titoli di Stato, è ovvio che questi possono pagare interessi sempre più bassi. Proprio in attesa del «bazooka» molti titoli di Stato europei hanno addirittura schiacciato i rendimenti sotto zero: calcola Bofa Merrill Lynch che in Europa siano in negativo titoli per 1.200 miliardi di euro. Anche i BTp italiani hanno i rendimenti ai minimi storici. Possibile che ora i loro tassi risalgano un po' (come accadde negli Usa), ma il beneficio per gli Stati è - e resta - indubbio. Purtroppo è in gran parte annullato, in termini reali, dalla bassa inflazione, ma il «Qe» ha proprio l'obiettivo di farla risalire.

Se si ridimensionano i titoli di Stato, l'effetto è di far calare sui mercati finanziari anche i rendimenti delle altre obbligazioni: quelle bancarie e aziendali. Il beneficio, dunque, arriva anche a loro. E, insieme a tutto questo, si riducono altri tassi d'interesse: qualche giorno fa l'Euribor a un mese è addirittura sceso sotto zero e quello trimestrale (su cui sono indicizzati i mutui di molte persone) è intorno allo zero. Questo dà una mano a chi ha le rate del mutuo da pagare ogni mese e, dunque, all'economia.

I problemi dell'Europa
Se è fuori di dubbio che il «Qe» porti un po' di vantaggi, è altrettanto indubbio che l'Europa abbia una serie di problematiche che rendono questi benefici molto più blandi che negli Usa. Come sottolineano gli economisti di Hsbc o di Rbs, la «cinghia» di trasmissione della politica monetaria all'economia reale è infatti molto meno efficiente da questa parte dell'oceano. Il motivo è banale: l'economia europea è diversa da quella americana.

Negli Usa ci sono grandi aziende, che si finanziano principalmente (per circa l'80%) sul mercato finanziario: quando la Fed buttava sui mercati enormi quantità di liquidità, dunque, queste imprese avevano un beneficio immediato. Diretto. Da noi dominano invece le piccole e medie imprese, che non si finanziano sui mercati se non marginalmente: l'80-90% del credito lo ricevono dalle banche. Affinché il beneficio del «bazooka» arrivi alle Pmi, dunque, è necessario che le banche riducano i tassi alle imprese e aumentino le erogazioni.

Purtroppo questo, per ora, non sta succedendo. Se da inizio 2014 il rendimento dei BTp decennali è sceso dal 4,09% all'1,76%, i tassi bancari in Italia non sono calati alla stessa velocità: erano al 3,80% (media per tutte le scadenze secondo la Bce) e ora sono al 3,48%. Questo perché le banche sono da un lato zavorrate da sempre più pesanti requisiti patrimoniali (imposti dalla stessa Bce) e dall'altro sono appesantite da 181 miliardi di crediti in sofferenza. Ma il nodo principale è un altro: dall'inizio della crisi in Italia è sparito credito per 100 miliardi di euro. Difficile che questo gap venga colmato in fretta, date le condizioni precarie delle banche e dell'economia.

All’Europa manca la seconda freccia: quella dei bilanci espansivi
L'altro problema è che in Europa il «quantitative easing» rischia di restare l'unica misura espansiva. Gli Stati Uniti, mentre stampavano moneta, mettevano mano anche al portafoglio statale: il deficit federale è infatti passato dal 2,8% di fine 2007 al 12,4% del 2009. Insomma: lo sforzo della Fed è stato affiancato da uno analogo del Governo. In Europa, invece, i bilanci statali si muovono nella direzione opposta, stretti nei vincoli di Bruxelles. Anche il piano Junker sugli investimenti, che dovrebbe affiancare il «bazooka» di Draghi, sembra più fumo che arrosto.

Tutto questo rischia di rendere il nostro «bazooka» meno efficace di quello usato da Bernanke negli Stati Uniti.
m.longo@ilsole24ore.com

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