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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2015 alle ore 07:15.

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La discesa dello spread accanto alla nuova flessibilità europea, le riforme strutturali, il calo del prezzo del petrolio, l'ulteriore deprezzamento dell'euro fino alla parità con il dollaro e il ritorno (auspicato) dell'inflazione nei dintorni del 2 per cento. Sulla carta sono diversi gli effetti potenziali della manovra della Bce sui conti italiani .

Nell'ipotesi di un differenziale stabilmente al di sotto dei 100 punti base, la discesa dello spread aprirebbe la strada a consistenti risparmi sul fronte degli interessi. È uno degli addendi più rilevanti che potrebbero materializzarsi grazie alla manovra della Bce, con benefici impliciti sul fronte della finanza pubblica. Accanto agli altri addendi «pro-crescita» , a partire da come verrà declinata sul campo la nuova flessibilità annunciata da Bruxelles. Anche l'inflazione ha un impatto sulla gestione del debito.

Sono dunque diverse le variabili in gioco, innescate dal “bazooka” da 60 miliardi al mese fino a settembre 2016 lanciato ieri da Mario Draghi. A patto che il combinato disposto dei vari addendi si traduca appunto in quel “boost” per la crescita evocato dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Ricaduta positiva possibile già nell'anno in corso, tutta da verificare sul campo e tuttavia potenzialmente in grado di propiziare qualche decimale di Pil in più in più rispetto al modesto 0,6% stimato dagli ultimi documenti programmatici del governo. La maggiore spinta si stabilizzerebbe nel 2016 (al momento la stima è di un incremento del Pil pari all'1%).

Fattore decisivo si conferma come nel 2014 l'andamento dello spread, ieri a quota 117 punti base con il rendimento del Btp decennale al minimo storico dell'1,54 per cento. Nel 2013, la riduzione dei tassi ha comportato un risparmio di 5,3 miliardi nella spesa per interessi. Quanto al 2014, in attesa dei dati di consuntivo, si ipotizza un calo da 82,6 a 76,7 miliardi, dunque attorno ai 5,9 miliardi, una parte dei quali tuttavia ha compensato l'incremento del deficit al 3%, rispetto al 2,6% stimato in aprile.

Lo scenario attuale fissa la spesa per interessi in calo dal 4,5% di quest'anno al 4,2% del 2018, ipotizzando uno spread sostanzialmente immutato nel 2015 a quota 150 punti base, e nel 2016-2018 nei dintorni dei 100 punti con il tasso di interesse medio annuo del Btp decennale stabilmente al di sotto del 4 per cento. Se la manovra della Bce favorisse un anticipo all'anno in corso dello scenario ipotizzato solo a partire dal 2016, si potrebbe replicare quanto meno il risultato del 2014.

Più crescita, meno debito (ora al 133,4% del Pil). Difficile al momento stimare l'impatto del «Quantitative easing» sul versante della domanda aggregata, consumi e investimenti dunque, che potrebbe ridursi anche per effetto della scelta di attribuire per l'80% l'onere del rischio alle banche nazionali. Ora tocca ai governi (riforme strutturali) e alla Commissione (investimenti), ha avvertito il numero uno della Bce. E qui che la palla torna nel campo dei singoli paesi. Se all'iniezione di liquidità messa in campo da Francoforte si affiancheranno azioni immediate e incisive in favore della crescita, il puzzle potrà cominciare a prendere forma.

Possiamo agganciarci alla nuova flessibilità prevista da Bruxelles per i paesi fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo, con uno scarto tra crescita effettiva e potenziale nella forchetta -3% e -1,5% o peggiore di -3 per cento. L'aggiustamento del deficit strutturale è ora dimezzato (dallo 0,5% allo 0,25%), il che apre margini se si realizzano e applicano le riforme, e si aggancia il treno degli investimenti europei, con annesse le clausole di scorporo parziale dal calcolo del deficit. Anche da questo punto di vista, la strada aperta dalla Bce va percorsa mettendo in campo tutti gli strumenti a disposizione.
Il 2015 si apre peraltro con un oggettivo ampliamento dello spettro delle novità potenzialmente in grado di agire da “moltiplicatore” sulla crescita, con possibile impatto su deficit e debito: l'effetto sull'export del deprezzamento dell'euro e del calo del prezzo del greggio sulla bolletta petrolifera. Di certo - lo ha ribadito Padoan - non ci si può «addormentare» sul fronte delle riforme.

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