Dove sarebbe lo spread tra BTp e Bund oggi senza QE? Chi risponde 150, chi 200 o 300 punti. Non si sa. Intanto si inizia a “scontare” l'uscita dalla Grecia dall'euro pretendendo un premio sulla probabilità che altri Stati possano uscire e rimanere travolti dall'apocalisse post exit.
La grande depressione, l'instabilità finanziaria con eventuale nazionalizzazione delle banche, la svalutazione del 50% (se basta) della nuova valuta, l'imposizione di controlli ferrei sul movimento di capitali, il collasso dell'attività economica, l'inflazione alle stelle, la disoccupazione di massa, la chiusura dell'accesso al mercato dei capitali per Stato, istituti finanziari e imprese e l'impossibilità di indebitarsi con i privati per un numero imprecisato di anni. Sono queste le dimensioni apocalittiche dei problemi che, stando agli scenari peggiori in circolazione sui mercati in questi giorni, il governo Tsipras rischia di dover fronteggiare nel caso di uscita dalla Grecia dall'euro.
Il famoso “tail risk” di reversibilità dell'euro che l'Europa era riuscita a sradicare dai mercati, prima con la creazione dei fondi salva-Stati Efsf e Esm, poi con le OMTs della Bce, è tornato a galla. E non solo per la Grecia. Ora nuovamente tutti gli Stati sono coinvolti perché quello che può accadere alla Grecia, l'uscita dall'euro, diventa un precedente: prima di questa crisi innescata da Tsipras questo rischio aveva un peso “zero” mentre ora è un numero sopra “zero” perchè è un pericolo reale. «La Grecia può diventare il tallone d'Achille dell'euro», ha ammonito Deutsche Bank .
I 18 Stati membri dell'euro rimanenti, nel dopo “Grexit”, sarebbero chiamati a loro volta ad affrontare gli impatti - diretti e indiretti - della perdita di un partner. Dopo l'uscita della Grecia dall'Eurozona, il mercato tornerà a pretendere un premio sui rendimenti del debito degli Stati rimanenti nell'Unione monetaria per controbilanciare il rischio di uscita dell'euro: questo graverebbe sui Paesi più deboli e soprattutto con il debito/Pil più alto, tra i quali l'Italia. Anche la capacità dell'Esm di intervenire, con quali mezzi e con quale potenza di fuoco, sarebbe rivalutata: e con il funzionamento e la probabilità del ricorso alle OMTs (acquisti di titoli di Stato da parte della Bce di un Paese che chiede e ottiene aiuto esterno).
Questo premio inizialmente sarebbe contenuto - come in questi giorni - perché contrastato dall'acquisto massiccio di titoli di Stato nel programma del QE della Bce: ma tenderebbe ad allargarsi, dovesse salire la sfiducia dei mercati nell'euro. L'impatto diretto dell'uscita della Grecia sui privati (banche, imprese, investitori) è limitato perchè l'esposizione al rischio-Grecia si è fortemente ridimensionata dal 2010 a oggi mentre è cresciuta quella dei creditori pubblici o istituzionali. Il sistema bancario globale era esposto sulla Grecia per 300 miliardi di dollari Usa nel 2008, poi 55 miliardi nel 2014: sul solo settore pubblico si scende a 2,6 miliardi di dollari. Prima della crisi nel 2008, le banche europee erano esposte per circa 200 miliardi, scesi a una ventina a metà 2014. Un default della Grecia non avrebbe più un impatto diretto sistemico: ma gli Stati creditori perderebbero in parte o del tutto il denaro prestato ad Atene (l'Italia tra 40 e 50 miliardi euro a seconda del tipo di calcolo con o senza i bond posseduti da Bce e banche centrali nazionali).
L'impatto più preoccupante derivante dall'uscita della Grecia dall'euro, secondo gli operatori finanziari, è invece indiretto: mina la fiducia nell'euro e soprattutto nella capacità dell'Europa, con tutta la nuova gamma dei strumenti di salvataggio, di arginare le crisi di illiquidità e insolvenza. L'entità di questo impatto è difficilmente quantificabile ma è prevedibile che sia confinato inizialmente almeno agli spread degli Stati “periferici”. È possibile che il modello greco venga applicato a tutti gli Stati più vulnerabili, in base a una probabilità di uscita dall'euro. Per esempio, nel caso di Grexit, chi acquista un bond dell'Italia o della Spagna potrebbe decidere di calcolare la probabilità (anche se remota e teorica) che questo Stato possa uscire dall'euro. In questo scenario, il peggiore possibile, l'affidabilità dello Stato (o dell'emittente di bond bancario e corporate) verrebbe misurata in base alla sua capacità di gestire le crisi multiple che si scatenerebbero dopo l'uscita dall'euro: quanto la sua valuta si deprezzerebbe, quale sarebbe il crollo del Pil. Verrebbero ricalcolati, in un contesto estremo, l'avanzo primario e il tasso di crescita necessari affinché questo Paese fuori dall'euro possa tornare nella condizione di ripagare puntualmente il debito: senza accesso ai mercati dei capitali, senza che le aste dei titoli di Stato possano essere collocate all'estero. Questo tail-risk, equivalente al peggioramento dell'affidabilità di uno Stato senza crescita e molto indebitato e a rischio di exit, verrebbe condensato in un “premio” che i mercati pretenderebbero come extra-rendimento sui titoli di Stato, sui bond bancari e societari. La frammentazione del mercato del credito e del rischio sovrano nell'Eurozona si aggraverebbe e come conseguenza anche la ripresa economica sarebbe più lenta o a rischio. Senza contare che l'uscita della Grecia dall'euro avrebbe ripercussioni negative anche sulla crescita globale e quindi sugli Stati europei “core”.
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