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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2015 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 22 febbraio 2015 alle ore 14:18.

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La scelta del PD di dedicare alla scuola la celebrazione del primo anno di governo ha un claim appetibile: la scuola che cambia, cambia l’Italia. Non si può che essere d’accordo, anche se di solito è la società a cambiare la scuola, e dove è avvenuto il contrario (per citarne uno, in Corea) il processo ha richiesto tempi lunghi, investimenti consistenti e una severa valutazione, perché non ogni cambiamento è un miglioramento. Ma la valutazione nella scuola italiana è stata introdotta timidamente e contraddittoriamente, per gli studenti, le scuole e - non troppo!- per gli insegnanti, ma mai per le innovazioni di sistema e di struttura, ed è marginale anche nella scuola, nonostante il tentativo di introdurre criteri di merito.

Ma il vero problema è che ci si dimentica che la scuola è fatta sì dagli insegnanti, ma per gli studenti, e la maggioranza dei provvedimenti riguarda gli insegnanti, pur senza che si sviluppi una vera politica di valorizzazione delle risorse umane, benché la scuola sia l’impresa italiana che impiega il maggior numero di laureati. Il rischio è che l’immissione in massa degli iscritti nelle graduatorie porti nelle aule oves et boves, senza che restino fondi per per un serio piano di formazione, e blocchi per anni l’immissione dei giovani più preparati. In più , ritengo che dal meccanismo delle graduatorie si potrà uscire solo modificando radicalmente il meccanismo di reclutamento, e cioè affidandolo per intero alle scuole o alle reti di scuole.

Nel programma del governo non mancano i punti positivi: l’introduzione di meccanismi premiali accanto agli scatti di anzianità, la creazione degli insegnanti formatori con ruolo di mentor, il maggior coinvolgimento delle scuole nel formare i nuovi docenti. La presenza della musica, dell’arte, dell’inglese, non dovrebbe limitarsi all’utilizzo dei docenti aggiuntivi, ma divenire strutturale, come il potenziamento del digitale. Bene il raddoppio dell’alternanza, anche se non sarà facile far fronte alla domanda nelle zone del paese in cui il mercato del lavoro è più debole. Il tema della professionalizzazione e della transizione al lavoro dovrebbe trovare più spazio, e lascia parecchi problemi irrisolti, dalla duplicazione degli indirizzi al sottodimensionamento della formazione tecnica superiore, all’insufficiente integrazione con le misure per l’occupazione.

Un ultimo punto di cui non si parla è il rapporto fra scuola statale e paritaria. Si discrimina fra studenti “statali” e “ non statali”, quasi un milione, quasi fossero figli di un dio minore.
L’assunzione dei docenti iscritti nelle Gae, ad esempio, costringerà le scuole paritarie a sostituire dal 15 al 25% dei docenti, che sceglieranno comprensibilmente la certezza del posto statale, con evidente danno della continuità didattica (anche se forse si creeranno delle opportunità per i giovani di valore esclusi dalle scuole statali...). Il sistema paritario occupa, secondo stime affidabili, più di centoventimila tra docenti e personale non docente: se non per una questione di equità, si dovrebbe tenerne conto come soggetto imprenditoriale. Un diverso sistema di finanziamento della scuola potrebbe portare ad un uso più razionale delle risorse e a un miglioramento del servizio formativo. Su questi temi, e su molti altri, mancano ricerche e sperimentazioni, e più in generale alla ricerca non si fa cenno, e questo è un limite pesante, a cui bisognerebbe porre rimedio al più presto.

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