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«Salvaguardare il giornalismo di qualità»

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al via la seconda giornata del convegno

«Salvaguardare il giornalismo di qualità»

«Domani i giornali negli Stati Uniti non escono. I direttori sono tutti qua». La mettono sullo scherzo alcuni ragazzi arrivati a Bagnaia per il convegno biennale organizzato dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, presieduto da Andrea Ceccherini. Ma è anche vero che ieri, in questo piccolo borgo alle porte di Siena, alla prima giornata del convegno “Crescere tra le righe” (arrivato alla nona edizione) c’era tutto il gotha della informazione made in Usa.

Un “benchmark”, quello americano, per guardare oltre i confini e rilanciare una sfida, quella per il riconoscimento dell’informazione di qualità, che l’Osservatorio porta avanti da 15 anni. «Quella di cui parlo – ha spiegato Andrea Ceccherini – è la differenza fra il concetto del lampione e quello del faro. Il primo illumina dove sei, il secondo dove sarai». Insomma, spiega ancora Ceccherini davanti a tutti i maggiori esponenti dell’editoria italiana e a 233 fra docenti e studenti scelti fra gli oltre 2 milioni che hanno partecipato al progetto “Il Quotidiano in Classe”, «viviamo in una società dove siamo sempre più sottoposti a un bombardamento dell’informazione che genera stordimento. E così finiamo per saperne sempre di più e capirne sempre di meno. E per capire quello che succede occorre un giornalismo di qualità, che lo sappia spiegare». Eccolo il punto chiave, centrare nel ragionamento di Ceccherini con un invito rivolto agli editori – «Apritevi al cambiamento, al mobile e al consumo dell’informazione in mobilità», ma «tenete la schiena dritta sulla qualità» – e uno diretto ai giovani: «Pretendete un’informazione scomoda, che non compiace, ma dispiace». Conclusione inevitabile: «Questa informazione costa, perché ha bisogno di buoni giornalisti».

E di buon giornalismo si è tanto dibattuto ieri. Un esempio su tutti, lo scambio di vedute fra il direttore del New York Times Dean Baquet e quello del Wall Street Journal, Gerard Baker, sulla scelta di pubblicare o meno le vignette di Charlie Hebdo dopo la strage di Parigi. Non le ha pubblicate il Nyt perché «ho ritenuto che non rispondessero ai nostri standard». Di diversa opinione Baker: «Era un imperativo mostrare le vignette, per far capire il contesto in cui ciò è accaduto». L’esperienza americana comunque è stata al centro del dibattito per tutta la giornata, con l’intervento di Martin Baron - direttore di quel Washington Post entrato nell’orbita del boss di Amazon, Jeff Bezos - che ha testimoniato come ormai nella redazione il lavoro sia «organizzato su turni per coprire tutta la giornata» e come ci siano «40 persone che in redazione si occupano solo di video».

Il successo del sito del Los Angeles Times è stato invece al centro del contributo del direttore Davan Maharaj, mentre la mattina a parlare è stato l’ad di Time Warner Jeff Bewkes, con un discorso tutto basato sulla qualità. Altri interventi: quello dell’ambasciatore Usa in Italia John R. Phillips, del presidente e ad del New York Times Mark Thompson («Contiamo di superare il milione di abbonati digitali entro pochi mesi») e di Richard Gingras (Google) che ci ha tenuto a precisare come «il valore del search è collegato a un ecosistema dei contenuti ricco e sostenibile». Molto di più rispetto al rapporto con gli editori non si è detto. Ma la ricerca Gfk presentata da Remo Lucchi invita a riflettere: la tv scende tra i mezzi utilizzati in generale dai ragazzi tra i 14 e i 18 anni (solo il 17% si espone al piccolo schermo per più di tre ore: nel 2006 era il 31%). Il 92% degli studenti si collega invece ad Internet tutti i giorni almeno una volta, l’84% lo fa più volte al giorno, due anni fa era solo il 64 per cento.

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