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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2015 alle ore 06:38.

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Sono quelle del premier australiano Stephen Harper le parole che meglio fotografano lo stato – grave – della crisi nei rapporti tra l’Occidente e la Russia: «Non c’è posto per la Russia di Putin al tavolo del G7», un club di Paesi che «condividono valori fondamentali e obiettivi», tra cui i medesimi interessi per la sicurezza. Rispetto alle democrazie occidentali, pur con tutti i loro affanni, e ai principi in cui esse si riconoscono, Putin si trova nella stessa posizione di un macellaio in una comunità di vegani. La sua partecipazione ai summit occidentali è “inconcepibile”, aveva del resto dichiarato Angela Merkel all'apertura dei lavori. La linea della fermezza, con il possibile ricorso ad un ulteriore inasprimento delle sanzioni verso la Russia, appare sostenuta da tutti i leader, compreso il primo ministro italiano Matteo Renzi, il più silenzioso sulla questione.

Putin sta per arrivare in Italia e in Vaticano e probabilmente il premier non vuole apparire in polemica con il Papa: si sa che il pontefice è contrario a una riedizione (sia pure in sedicesimo) della Guerra Fredda ed è ancora grato al presidente russo per aver contribuito a bloccare l’assurda iniziativa franco-americana di un paio di anni fa di bombardare la Siria di Asad (sospettata di aver fatto uso di gas contro i ribelli). Proprio rispetto al Medio Oriente, in Oltretevere riconoscono (e sopravvalutano) il ruolo di Mosca come protettrice delle comunità cristiane orientali ed è singolare come Francesco, normalmente molto franco nel criticare ingiustizie, iniquità e sfruttamento dall’Estremo Oriente all’Occidente più profondo, sia stato piuttosto parco di opinioni sulla nuova Russia di Vladmir Putin.

La politica italiana è stata sintetizzata con chiarezza dal ministro degli Esteri Gentiloni: l’Italia ha una relazione speciale con la Russia fin dagli anni ’60, fatta soprattutto di ottimi rapporti economici, ma questo non significa che possa o voglia smarcarsi rispetto ai propri alleati. Anzi. La possibilità che l’Italia rappresenti un interlocutore privilegiato per un possibile dialogo tra Russia e Occidente sussiste solo a condizione che il nostro Paese si dimostri un partner leale verso i propri alleati.

E non potrebbe essere altrimenti. Guai a rialimentare l’immagine del Paese da operetta (pessima la cafonata tedesca di accogliere Renzi con le note di azzurro), sempre pronto a flirtare con chicchessia nel nome del proprio tornaconto immediato. Mentre deve essere chiaro che, a fronte dei diversi errori commessi un po’ da tutti sulla questione Ucraina, c’è un Paese, la Russia, che ha fatto qualcosa di inammissibile: ha invaso militarmente un altro, proclamando l’annessione di una provincia strappata con la forza delle armi, mentre ancora ne alimenta la ribellione armata.

Si tratta di un comportamento inaccettabile innanzitutto per l’Europa, che ha autocollocato la Russia al di fuori di quel “ring of friends” che le politiche (fin qui fallimentari) dell’Unione Europea si proponevano di creare nel corso di questi ultimi dieci anni e che spiega la durezza della cancelliera Merkel. Anche perché, se andiamo a vedere, è l’insieme dei Paesi intorno alla Ue che sta diventando sempre meno “amichevole” e “rassicurante”: dalla Russia alla Turchia in preda a derive sempre più autoritarie, dalla Libia alla Siria entrambe dilanaite da feroci guerre civili.

Ecco che allora la linea italiana verso la Russia, di apertura al dialogo nella fermezza, è probabilmente quella che meglio si attaglierebbe agli interessi europei: a quelli di sicurezza e a quelli economici. L’Europa non può infatti “far finta di niente” di fronte all’aggressiva politica neoimperiale di Vladimir Putin. Ma neppure l’Europa può “fare niente” di fronte alla grave crisi in cui ormai da troppo tempo sono precipitati i rapporti col Cremlino. È vitale per l’interesse nazionale europeo che da questa impasse si venga fuori al più presto, cercando un difficile passaggio “a Nordest”, questa volta, senza il quale il prezzo che tutti pagheremmo alla nostra sicurezza e al nostro benessere sarebbe troppo elevato. I tempi non saranno brevi, non illudiamoci. Ma saranno meno intollerabilmente lunghi se, una volta indicata ed esplorata la via, sapremo muoverci solidalmente con i nostri alleati. Senza illuderci che il fatto compiuto possa essere revocato ma senza illudere che potremo mai riconoscere l’inimmaginabile.

Da qui l’idea che il vertice di Monaco, dove la fermezza ha fissato alcuni paletti necessari a delimitare il campo del dialogo, deve considerarsi l’inizio di un cammino possibile, se tutti vorranno perseguirlo seriamente e senza clamori eccessivi.

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