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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2015 alle ore 10:38.
L'ultima modifica è del 17 giugno 2015 alle ore 11:01.

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Una frase davanti alla telecamera di Canal+ e la ministra francese dell'Ambiente, Ségolène Royal, si candida per la bufala dell'anno. «Non bisogna mangiare Nutella», anzi Nutellà con l'accento sulla a, ha detto ai francesi. L'intervistatore sorride stupefatto: «Ma è buona la Nutellà». Taglia corto la ministra: «Sì ma non si deve».

Chi s'immagina i luoghi comuni ricorrenti tra i consumatori poco evoluti e poco informati (ingrassa, fa venire i brufoli, chissà con che cosa è fatta) sbaglia. La ministra francese vorrebbe che il mondo rinunciasse alla Nutella perché a suo parere è poco ecologica. Tra i suoi ingredienti c'è anche l'olio di palma e per coltivare le palme da olio - dice Royal - si abbattono alberi. Ancora una volta, non se l'è presa con alimenti dall'impatto ambientale più pesante ma con uno dei simboli più dolci della globalizzazione (dolci in senso non soltanto zuccherino).

Non soltanto è stimolante per gli adolescenti, rassicurante per gli incerti, consolatrice degli infelici. A differenza degli altri simboli del mondo globale, spesso rappresentanti di un’economia aggressiva, la Ferrero è riuscita a conferire alla Nutella e agli altri prodotti la particolarità di essere uno dei rarissimi prodotti che in tutto il mondo sono percepiti come nazionali, non d’importazione.

I francesi percepiscono la Nutella (come gli ovetti Kinder o i cioccolatini Mon Chéri ) come un prodotto della tradizione francese, i tedeschi tedesca, gli statunitensi statunitense e così via. Quando nel film «Bianca» (1984) il regista Nanni Moretti dedicò alla Nutella una scena di memorabile dolcezza consolatoria, i francesi esultarono davanti allo schermo: un altro prodotto francese viene valorizzato dai grandi registi italiani. Poi, tra i francesi si diffuse la consapevolezza che non è Nutellà francese ma Nutella Ferrero, e cambiarono parere; qualche anno fa la Francia aveva sottoposto la crema al gianduia a un dazio sull’importazione dell’olio di palma.

L’olio di palma per la sua versatilità e per il suo sapore finemente neutrale è il grasso alimentare forse più usato dall’industria. C’è olio di palma in biscotti, sughi, surgelati, gallette, cioccolata, fette biscottate, gelati. Dovunque l’etichetta riporti l’ingrediente “grassi vegetali”, ebbene, quasi sempre è olio di palma, che interferisce pochissimo con l’aroma degli altri ingredienti. È perfino un combustibile di qualità per impianti a basso impatto ambientale, al posto del ben più inquinante petrolio. Le aziende più responsabili che usano olio di palma, e sono molte, fanno certificare da organismi indipendenti la sostenibilità delle colture e dei fornitori.

L’impatto ambientale dell’olio di palma ovviamente c’è, perché ogni atto umano ha un impatto sull’ambiente. Ed è vero che ci fu un impoverimento del mondo quando si abbatterono migliaia di ettari di foresta pluviale in Malesia o in Indonesia per piantare palme da olio.

Ma boicottando la Nutella non si rallentano i consumi di olio di palma né si restituisce foresta pluviale. Se non esistesse la crema al gianduia, la coltura di palme non perderebbe un ettaro e le navi cisterna cariche di olio viaggerebbero sulle stesse identiche rotte. Rinunciare all’olio di palma significa favorire altri grassi e altre colture di pari impatto. Lo strutto ricavato dai maiali macellati, il burro centrifugato dal latte di milioni di vacche, le coltivazioni di girasole o di granturco non hanno un impatto ambientale più basso. Se tutto il mondo smettesse di usare olio di palma in migliaia di prodotti, e se le piantagioni di palma venissero sostituite da colture di arachidi da burro, cotone per tessuti o asparagi, l’ambiente non migliorerebbe di un grammo.

Sul web legioni di cospirologi della complottologia applicata s’inventano notizie sdrucciolose contro l’olio di palma. E Ségolène Royal vi ha preso uno scivolone.

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