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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2015 alle ore 08:14.

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Non è ancora chiaro se e in che misura la crisi finanziaria influirà sulla corsa al riarmo di Pechino e sul potenziamento delle sue forze armate i cui bilanci crescono da tempo con percentuali annue a doppia cifra. Quest’anno la crescita della spesa militare è del 10,1% rispetto al 2014 raggiungendo il record di 144,2 miliardi di dollari.

Un dato annunciato dalle fonti ufficiali cinesi, superiore alla crescita economica del Paese (7%) e corrispondente al 2,6% del Pil anche se il Pentagono da anni sostiene che la spesa militare reale di Pechino sia più alta di ben il 50 per cento includendo fondi distribuiti presso altri ministeri. Una fonte indipendente come l’istituto britannico IHS Jane’s valutava che l’anno scorso la spesa militare reale avesse raggiunto 148 miliardi di dollari anziché i 132 dichiarati. In ogni caso la Cina occupa stabilmente e da molti anni il secondo posto nella classifica dei Paesi che dedicano più risorse agli apparati militari, inseguita dalla Russia ma molto lontana dai quasi 600 miliardi di dollari spesi da Washington. In termini strategici la Cina ha fallito nel tentativo di accreditarsi come potenza stabilizzatrice dell’area del Pacifico e divenire un punto di riferimento per i Paesi della regione. L’errore di enfatizzare il massiccio riarmo e le importanti innovazioni tecnologiche (come l’ingresso in servizio di aerei e navi “invisibili” ai radar, cisterne volanti, portaerei, sottomarini, missili balistici antinave DF-21D per minacciare le portaerei statunitensi e una consistente capacità offensiva nella guerra informatica) al pari di una aggressiva strategia navale negli arcipelaghi contesi dalle Spratly alle Senkaku hanno determinato il panico in tutto il sud-est asiatico consolidando intorno a Stati Uniti e Giappone una vasta alleanza regionale.

Nonostante Pechino cerchi oggi di smorzare i toni sul proprio riarmo e sulla costituzione di una marina oceanica, la costruzione di almeno tre isole artificiali dotate di aeroporto e attracco per navi militari nelle isole Spratly ha reso manifesta la strategia cinese nella cosiddetta “lingua di bue”, la lunga scia d isole a atolli nel mar Cinese Meridionale rivendicati da tutti gli stati rivieraschi e i cui fondali sono ricchi di materie prime. Le nuove isole, costruite aspirando sabbia dal fondale e cementificando non sono solo presidi militari da dove tenere sotto tiro i rivali ma costituiscono le basi giuridiche per la rivendicazione degli arcipelaghi come parte integrante del territorio nazionale.

Le crescenti tensioni nel Pacifico non sembrano stranamente aver influito sull’ultimo documento strategico del Pentagono, la “National Military Strategy”, che posiziona la Cina solo al quarto posto tra le minacce potenziali per gli USA, dopo Russia, Iran e Corea del Nord, e prima del terrorismo islamico.

Pechino è il terzo maggiore importatore di armi, acquisite per lo più selezionando il meglio dell’hi-tech russo, ma occupa anche il terzo posto nella classifica degli esportatori di equipaggiamenti militari come ha rivelato l’ultimo rapporto dell’istituto Sipri di Stoccolma che nel quinquennio 2010-2014 ha attribuito alle armi cinesi una quota del 5 per cento del mercato globale, seconda solo a USA (31 %) e Russia (27%).

Al di là dei successi tecnologici e dell’ostentazione di capacità belliche, le forze armate cinesi rappresentano anche uno specchio dei problemi della Cina, soprattutto sul fronte della corruzione. Nonostante il regime cerchi di impedire la diffusione all’estero di notizie poco edificanti nel marzo scorso è trapelata la denuncia di alcuni generali in pensione che rivelarono come gli incarichi di comando, fin dal livello più basso, vengano comprati a suon di bustarelle con un’ampia diffusione di nepotismo e corruzione nelle carriere militari per un giro d’affari di centinaia di milioni di yuan, cioè decine di milioni di euro. Negli ultimi tempi sono statui arrestati 30 generali per corruzione ma pare che il fenomeno sia così capillarmente diffuso da minare l’efficienza e la motivazione delle forze armate.

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