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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2015 alle ore 06:38.
L’ammissione dell’Fmi che il debito greco è insostenibile potrebbe rivelarsi un momento decisivo per il sistema finanziario globale. Chiaramente, le politiche eterodosse per affrontare deficit elevati vanno prese più seriamente, anche in alcuni Paesi avanzati. Da quando è scoppiata la crisi greca, sono emerse tre principali scuole di pensiero. La prima è la visione della cosiddetta troika (Commissione europea, Bce e Fmi) secondo la quale alla periferia dell’eurozona gravata dal debito (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) serve una forte disciplina per impedire che una crisi di liquidità a breve termine si trasformi in un problema di insolvenza a lungo termine. L’ortodossa prescrizione era di estendere i tradizionali prestiti ponte a quei Paesi dando loro il tempo di risolvere i problemi di bilancio e di intraprendere riforme strutturali per rilanciarne la potenziale crescita a lungo termine. Questo approccio ha “funzionato” in Spagna, Irlanda e Portogallo, ma a costo di epiche recessioni. Inoltre, c’è un forte rischio di ricaduta in caso di flessione significativa dell’economia globale. La policy della troika, tuttavia, non è riuscita a stabilizzare l’economia greca, e tanto meno a rianimarla.
Anche per una seconda scuola di pensiero, la crisi è un mero problema di liquidità, ma l’insolvenza a lungo termine rappresenta tutt’al più un rischio esterno. Il problema non è che il debito dei Paesi della periferia dell’eurozona sia troppo alto, ma che non gli sia stato permesso di salire abbastanza.
Questa scuola anti-austerity ritiene che anche quando i mercati privati avevano perso la fiducia verso la periferia dell’Europa, il Nord d’Europa avrebbe potuto risolvere facilmente il problema sottoscrivendo il debito della periferia, magari attraverso gli eurobond garantiti da tutti i contribuenti dell’eurozona (soprattutto tedeschi). I Paesi della periferia avrebbero così potuto non solo reinvestire il loro debito, ma anche intraprendere una sostenuta policy fiscale anti-ciclica fino a quando i loro governi nazionali lo avessero ritenuto necessario. In altre parole, per chi era contrario alle misure di austerità, l’eurozona avrebbe sofferto una crisi di competenza e non una crisi di fiducia. Non importa che l’eurozona non abbia un’autorità fiscale centralizzata, ma solo un’unione bancaria incompleta, non importano i problemi di azzardo morale o di insolvenza e non importano le riforme strutturali che stimolano la crescita. Tutti i debitori potranno ricevere aiuti in futuro, anche se non sempre sono stati affidabili in passato. In ogni caso, una crescita più rapida del Pil compenserà tutto, grazie ad alti moltiplicatori fiscali. L’Europa ha perso un’occasione. È un punto di vista coerente, ma ingenuo per la sua fiducia incondizionata (per esempio negli articoli polemici dell’economista premio Nobel Paul Krugman). Di conseguenza, il punto di vista anti-austerità cela forti incognite e rischi. Accumulare il debito già gravoso dei Paesi della periferia dell’eurozona è stato un azzardo significativo, in particolare quando è scoppiata la crisi. La corruzione politica, esemplificata in Spagna dalla politica della porta girevole tra governo e settore finanziario, era endemica. I mercati duali del lavoro e i monopoli dei mercati dei prodotti continuano a ostacolare la crescita e gli oligarchi hanno un potere eccessivo per proteggere i loro interessi. In realtà, la Germania non avrebbe potuto accollarsi tutto il debito della periferia dell’eurozona senza rischiare la propria solvibilità e affidabilità creditizia, specialmente in assenza di un sistema funzionante di controllo e bilanciamento reciproco. Le garanzie espansive e aperte avrebbero potuto funzionare, ma se non fosse stato così, la cancrena economica della periferia avrebbe potuto propagarsi verso il centro.
Un terzo punto di vista è che, con la massiccia crisi finanziaria, il problema del debito europeo avrebbe dovuto essere diagnosticato subito come un problema di insolvenza e affrontato con una ristrutturazione e un condono del debito, attraverso un’inflazione moderatamente elevata e riforme strutturali. Questo è stato il mio pensiero da quando è iniziata la crisi.
Ad attutire lo choc dei crac bancari in Irlanda e Spagna, avrebbero dovuto essere gli obbligazionisti privati e non i contribuenti irlandesi e spagnoli. In Grecia, le svalutazioni del debito avrebbero dovuto essere più tempestive ed estese. Naturalmente, i governi nazionali avrebbero dovuto utilizzare i fondi dei contribuenti per ricapitalizzare le banche del Nord Europa, soprattutto in Francia e in Germania, che avevano prestato troppo alla periferia. E ci sarebbero voluti dei trasferimenti per ricapitalizzare le banche della periferia. Ma almeno la gente avrebbe capito la gravità della situazione e le banche ristrutturate e ricapitalizzate sarebbero state nella posizione di ricominciare a concedere prestiti. Purtroppo, troppi decisori delle economie avanzate si sono lasciati convincere che quelle politiche eterodosse valevano solo per i mercati emergenti. In realtà, i Paesi avanzati sono ricorsi spesso a quelle politiche per ridurre il fardello del debito. Una ristrutturazione del debito avrebbe dato all’Europa lo stimolo di cui aveva bisogno. Certo, questo avrebbe comportato dei rischi come ha osservato il capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard, ma sarebbe valsa la pena correrli.
Ma allora qual è la strada giusta? Un’integrazione europea più profonda, requisiti più severi sulla patrimonializzazione delle banche e riforme strutturali più profonde ma locali sono sicuramente gli elementi chiave di qualsiasi soluzione. E alla periferia dell’Europa serve ancora un fortissimo aiuto. Però, oltre a questo, l’esperienza europea dovrebbe stimolare un ripensamento del sistema globale nella gestione dei fallimenti dei Paesi sovrani, cosa che potrebbe significare riprendere in considerazione le vecchie proposte dell’Fmi di un meccanismo di bancarotta o trovare i modi per istituzionalizzare la recente posizione del Fondo sul debito greco. L’Europa di occasioni non ne ha perse e non ne ha mai avute, ma esistono sicuramente modi migliori per gestire un debito insostenibile.
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