Commenti

Emergenza migranti, la risposta sbagliata di un’Europa miope

  • Abbonati
  • Accedi
il dramma degli sbarchi

Emergenza migranti, la risposta sbagliata di un’Europa miope

L’ immigrazione, secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro, è diventata il problema numero uno degli europei. Per il 38 % di loro, erano il 24% nell’autunno scorso, nella scala ansiolitica ormai surclassa - fatto senza precedenti - economia e disoccupazione.

Del resto che nell’immaginario collettivo sia assurta a emergenza delle emergenze, lo conferma Angela Merkel quando avverte: «Nel prossimo futuro il fenomeno è destinato a occuparci molto più della Grecia e della stabilità dell’euro» . L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati parla della «peggiore crisi dalla fine della seconda guerra mondiale».

Numeri e cronaca si commentano da soli in un crescendo apparentemente inarrestabile.

Nei primi sei mesi dell’anno sono stati 340mila gli immigrati illegali che hanno varcato le frontiere europee. Impennata a luglio, 107mila nuovi arrivi, il triplo dello stesso mese 2014. Dal Mediterraneo sono sbarcate 240mila persone, 135mila in Grecia, tre volte di più rispetto all’anno scorso, 30mila in più che in Italia.

Ma i flussi dei richiedenti asilo in fuga da Siria, Afghanistan, Iraq ed Eritrea stanno sfuggendo di mano. Con gli ingressi via terra in aumento perché ritenuti meno pericolosi. Gli ultimi salvataggi in mare, approdo in Sicilia, sono saliti a 3-4mila disperati al giorno. Nello stesso week-end 6mila profughi siriani sono passati dalla Grecia in Macedonia puntando alla Serbia e di qui all’Ungheria, la porta di ingresso nell’Europa della libera circolazione targata Schengen.

Mentre a Budapest però 2mila di loro finivano in carcere, vicino a Dresda scoppiavano tumulti anti-immigrati e nel Brandeburgo andava in fiamme un centro di accoglienza. Meta preferita dei rifugiati la Germania, che da sola smista il 40% del totale delle domande di asilo nell’Unione, quest’anno si aspetta 800mila rifugiati, il quadruplo del 2014, una cifra pari all’1% della sua popolazione.

Sei anni di crisi greca hanno spaccato l’Eurozona invece di ricompattarla (almeno finora). La crisi migratoria, che è solo agli inizi, rischia di fare ben peggio: perché rimette in gioco stabilità politica e sociale e sicurezza dei Paesi europei, dove eccita le guerre tra i poveri, alimenta populismi, diffidenze ed estremismi in società culturalmente ed economicamente impreparate a convivere con diversità etniche e religiose, sempre più presenti e invadenti.

Perché si incontra e scontra con classi dirigenti e governi spesso inetti e inadeguati, in compenso inclini a distribuire il falso surrogato delle prediche buoniste che non risolvono i problemi concreti della gente esasperandone però frustrazioni e risentimenti. E perché, infine, non riesce (forse non ancora) a sollecitare una risposta davvero europea a una questione che è tutta almeno europea. Prima che globale.

Sommersa dall’ondata di profughi, ci ha provato la Merkel a predicare, al termine dell’ultimo incontro con il presidente francese François Hollande, una soluzione autenticamente collettiva sulla politica di asilo con quote di redistribuzione obbligatoria. Ma il suo appello, necessario e ineccepibile, rischia di restare al palo. Come sa bene l’Italia. E come è già accaduto all’embrione di una nuova politica comune proposto in primavera dalla Commissione Juncker.

Dei 40mila rifugiati siriani ed eritrei, che avrebbero dovuto secondo Bruxelles essere ripartiti in due anni tra 25 Paesi Ue (Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca hanno clausole di opt-out) per alleggerirne il peso su Italia e Grecia, alla fine ne sono stati sistemati solo 32mila, esclusivamente su base volontaria: 9 Paesi, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Baltici, Slovenia, Austria e Spagna hanno rifiutato di aderire al sistema obbligatorio.

Che cosa potrà indurre l’Europa a cambiare, riscattandosi da questa figura patetica che, ancora più del suo ben noto e scarso senso di solidarietà, offre la misura della leggerezza o addirittura della grave inconsapevolezza con cui affronta un problema epocale che deciderà la sua identità del futuro?

Per ora prevale la logica dell’ognun per sé dietro le false sicurezze degli accordi bilaterali (tra Francia e Gran Bretagna) e dei nuovi muri in costruzione: dalla barriera di 175 km che da fine mese dividerà l’Ungheria dalla Serbia a quella che proteggerà Calais e il passaggio della Manica dagli assalti degli immigrati ansiosi di sbarcare in Inghilterra. Dal muro che la Spagna ha eretto intorno all’enclave marocchina di Ceuta e Melilla al prolungamento da 30 a 130 km di quello che nel dicembre scorso la Bulgaria ha deciso di costruire per blindare la frontiera con la Turchia. La quale da tre anni è divisa anche dalla Grecia da un altro muro di 12 km.

Prima dei labirinti di cemento ai confini, monumenti agli egoismi diffusi che prima o poi, in assenza di una credibile politica comune di asilo, rischiano di far saltare la libera Europa di Schengen, da penetrare ci sono i circuiti degli interessi e delle miopie nazionali contrapposte. Le stesse che, tra futili direttorii franco-tedeschi ed euro-protagonismi istituzionali tra loro concorrenti, impediscono il decollo di un’autentica e credibile politica estera e di sicurezza europea, cioè del contraltare indispensabile di una credibile ed efficace politica comune dell’immigrazione.

Come arrestare l’esodo e gestire i tanto conclamati rimpatri di chi non ha diritto all’accoglienza senza un dialogo strutturato e una politica sagace di sviluppo, lavoro, speranza e pace nei Paesi d’origine? Credere che una severa politica di asilo in grado di discernere con precisione tra immigrati economici illegali e disperati legali possa da sola risolvere il problema è una pia illusione.

Fino a che l’Europa sarà più ricca dei Paesi che la circondano resterà una calamita irresistibile. È bene arrendersi all’evidenza per poter affrontare insieme l’emergenza sapendo che, se gestita in modo coordinato e lungimirante, può diventare un’enorme opportunità per un continente senescente e in crisi di crescita. A patto che la migrazione sia governata e non subita in modo passivo e disordinato come accade oggi. E a patto che ciascun Paese giochi la partita europea da adulto, senza truccare le carte.

© Riproduzione riservata