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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2015 alle ore 06:37.

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In principio fu Hay-on-Wye: una oscura cittadina gallese che, grazie a un libraio illuminato di nome Richard Booth (e, poi, altri suoi colleghi) “sognò”, per sé (e i propri concittadini) un futuro diverso con un gesto semplice: aprire una libreria antiquaria nei primi anni 60. Quella fu la scintilla e oggi la cittadina gallese brilla di luce propria: è una mecca del libro, una agorà di cultura e scambio, il gelosissimo territorio del prestigioso «Guardian» che sponsorizza l’annuale festival letterario. Ed è, anche, una questione di soldi: crescita culturale ed economica.

Mantova ha seguito l’esempio. Ed è stata capace di miglioralo. L’idea di un festival era nata nel 1994 da una azione di ricerca che l’Osservatorio Culturale della Regione aveva promosso per rilanciare il territorio. In quell’occasione, la società inglese Comedia, incaricata della ricerca, portò alcuni esempi significativi di iniziative culturali che potevano ben accordarsi con lo specifico della realtà mantovana, con il suo contesto storico-letterario – la cultura di Virgilio – e di sopravvivenza artistica – i favolosi palazzi gonzagheschi e tutto il centro storico. Una di queste era Hay-on-Wye. Ma Mantova ha saputo fare molto di più. E meglio. Perché se l’iniziativa era venuta da un ente pubblico, gli otto soci fondatori (tra i quali gli “addetti ai lavori” culturali erano solo l’editrice Marzia Corraini e i librai Nicolini) del Festival hanno impresso un indirizzo ben preciso.

Lo si vede bene nella tabella che pubblichiamo in questa pagina. Fatto 100 il budget del festival (che oggi è quantificabile in 1,2-1,4 mlioni di euro all’anno), gli sponsor privati sono diventati di gran lunga la voce più significativa. Mantova insomma si ripaga le spese con l’80% di introiti privati (erano meno del 30% all’inizio) e la biglietteria. In più la ricaduta sul territorio è enorme.

Il Festivaletteratura è infatti un vero e proprio benchmark di Mantova, oggi, non meno di Palazzo Te o di Palazzo Ducale o di Mantegna. Non stiamo bestemmiando: delle 60 mila presenze che si registrano nei quattro giorni di festival, non sono poche quelle che uniscono un weekend di turismo, oltre che di ascolto degli scrittori preferiti. Ma non basta ancora. Perché Mantova ormai «va ben oltre il solo evento – spiega Marzia Corraini –. Negli anni abbiamo imparato a guardare più in là, cercando di organizzare progetti che siano permanenti, come gli archivi e che possano andare avanti con le loro gambe». Spesso gli sponsor, in questi casi, sono le Fondazioni bancarie: è un modo per gettare basi sulle quali sviluppare idee, che poi possono attecchire o meno. Di sicuro, per il festival – partito con il primo evento ufficiale ieri sera e destinato a chiudere domenica con il Nobel Vargas Llosa –, la città si fa bella. «È un segno di attenzione – conclude Corraini – da parte del comune». I cittadini del resto sono sempre stati più fiduciosi degli amministratori di turno. Non hanno mai smesso di credere che si potesse sognare anche per Mantova un futuro (no, un presente!) legato alla cultura.

Settembre è il mese cruciale per i festival culturali, un vero e proprio fenomeno italiano. Al di là degli oziosi dibattiti se il pubblico vada a vedere delle star letterarie e non degli “autori” e sul fatto che la lettura non aumenti, forse ci si potrebbe concentrare sull’elemento di coesione sociale ed economica risvegliato da una cosa delicata e così poco “immediatemente redditizia” come i libri ela letteratura. Mantova ha fatto scuola: e se quasi nessuno degli altri eventi nazionali può vantare simili percentuali di sponsorship private, se non altro, ha indicato un metodo. Destinato a restare, almeno come esempio. L’anno prossimo saranno 20 anni: e il bilancio sarà molto molto positivo. Lo possiamo certificare fin d’ora.

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