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Dossier Villaggio spartano più che olimpico

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Dossier | N. 97 articoliOlimpiadi e Paralimpiadi di Rio 2016

Villaggio spartano più che olimpico

La misura di tutte le cose in un villaggio olimpico può essere anche la grandezza dei lavandini. A Rio, quelli montati nelle camere degli atleti sembrano – tanto sono piccoli – acquasantiere di chiesette di campagna. È solo un particolare che rappresenta il tutto.

Il villaggio si trova nella zona Barra de Tijuca, è costato 835 milioni di dollari, con una spesa extra di 100 milioni a causa delle ultime forniture e, alla luce del vero, la frase di metà giugno del presidente del Cio, Thomas Bach «è uno dei più bei villaggi che abbia mai visto», sembra quanto meno fuori posto. Poi, la gioventù che lo anima maschera molto, anche se la spadista azzurra Rossella Fiamingo sottolinea che «si aspettava più allegria, più vitalità».

Il bus D41, che parte dal grande hub dei trasporti nel cuore del parco olimpico, porta al villaggio. È stracarico, giornalisti, cameraman, obiettivi e diavolerie tecnologiche di ogni genere. Diego, giornalista della tv colombiana Caracol Televison, guarda fuori dal finestrino sconsolato: «Tutto il Sudamerica è così…» e indica catapecchie, macerie, una sopraelevata pedonale non finita e ancora fasciata di impalcature arrugginite a ridosso del parco olimpico. Lì, inizia il degrado e il contrasto fra lo slogan dei Giochi «Un mundo novo» e la povertà è evidente, non servono le proteste per capire cosa sente una certa fascia di brasiliani.

Sono 31 i palazzi del villaggio, raccolti attorno alla piazza del complesso, tutti sorvegliati – pur senza dare troppo nell’occhio – dalla Forza nacional. Diciassette piani per edificio, un totale di 3.604 appartamenti per oltre 200mila mq destinati oggi a ospitare 17mila persone e in futuro a diventare ricca zona residenziale, sperando che almeno il poco verde piantumato regga e diventi florido. È un villaggio da 60mila pasti al giorno e 450mila preservativi in tre settimane. Il palazzo dell’Italia, dove è arrivata anche la portabandiera Federica Pellegrini, è il numero 20, condiviso con la squadra del Montenegro e alcuni atleti rumeni, al 19 alloggiano gli americani, ma, per questioni di sicurezza, il loro edificio è spoglio, per la bandiera a stelle e strisce c’è tempo. Gli altri Paesi espongono vessilli e orgoglio. E i ragazzi, terminati gli allenamenti e i momenti di riposo, al villaggio trovano tutto: parrucchiere, banca, ufficio postale, mensa (grande quanto tre campi da calcio), sette piscine, campi da calcetto e da tennis, aree ricreative con ping-pong, divanetti, videogiochi, un’area, il “lugar de luto” dove commemorare le vittime legate ai cinque cerchi e un centro multireligioso.

Gli italiani, poi, hanno il loro don: monsignor Mario Lusek è alla sua terza olimpiade estiva e domenica scorsa ha ricordato che la ricchezza nasce dalla condivisione: «Voi atleti – ha detto – avete persone accanto, ascoltatele, sono la forza che vi accompagna, la condivisione di un pezzo di strada vi sarà di aiuto». Per ora la vita al villaggio è soporifera perché forse non ha raggiunto il tutto esaurito e chi c’è trascorre del tempo nella piazza, tanti selfie, passeggiate, un po’ di noia ma anche molti allenamenti.

Ecco che ritornano dalla giornata di allenamento le ragazze del ciclismo su strada e salgono in camera con le bici. Poi, arrivano i ragazzi della squadra di tiro con l’arco, oro di Londra 2012. Per il pacioso Marco Galiazzo «le palazzine sono carine», mentre il collega Mauro Nespoli sottolinea che «siccome ci aspettavamo il disastro, tutto sommato non è male». E non è così male perché il Coni, a differenza degli australiani capaci di protestare per inefficienze e acqua a catinelle, con grande senso pratico ha ingaggiato squadre locali di operai che in poco hanno sistemato la situazione. Certo, hanno messo delle toppe: perché le finestre senza infissi restano, gli ascensori fermi o a velocità antidiluviana pure. Poi, forse avevano assoldato muratori che fino alla settimana prima erano stati autisti o cuochi tali e tante sono le sbavature nelle rifiniture edilizie. Le porte hanno fessure che paiono autostrade e gli armadi in tela forse sono usciti dagli anni 50. Delle tende neppure l’ombra: il tempo è stato tiranno e soldi in cassa non ce n’erano più. E anche i servizi sono essenziali: lenzuola cambiate ogni cinque giorni, asciugamani ogni tre. E pensare che fino a un paio di settimane fa l’organizzazione sosteneva che solo il 5% delle stanze aveva dei problemi. «Tutto è molto spartano – confessa Sandro Cuomo, medaglie da atleta e ora ct della nazionale azzurra di spada – nelle mie olimpiadi ho visto villaggi al grezzo che poi sarebbero diventati nuovi quartieri ma questo è davvero molto essenziale. Certo, a Rio non cerchiamo il comfort, cerchiamo medaglie». Già, le medaglie…

Quelle che spera di vedere anche il premier Renzi, arrivato ieri in Brasile. La prima giornata oltre oceano del premier è stata fra solidarietà, impresa e sport. Al mattino, a Salvador de Bahia, dopo la visita al santuario Basilica Senhor do Bonfim, ha incontrato, nella favela di Massaranduba, missionari e ragazzi del progetto Beija Flor, una scuola di 150 ragazzi, che rientra fra i 130 progetti curati da Agata Smeralda nel mondo. La onlus fiorentina è impegnata dal 1991 in programmi di adozioni a distanza, in progetti scolastici e di sostegno alla maternità ed è stata fondata da Mauro Barsi, presenta a Salvador e premiato da Renzi, quando era sindaco, con il fiorino d’oro e di recente insignito come cavaliere al merito.

Poi, il premier si è spostato al centro educativo Giovanni Paolo II della Onlus Avsi e al centro Dom Lucas Moreira Neves, dove i ragazzi, salvati dalle favelas, sono avviati al lavoro: «La grande gioia di essere qui è condivisa – ha detto il premier – dalle associazioni che festeggiano la legge sul terzo settore, quelle sul volontariato e quella contro lo spreco alimentare. C’è un’Italia bella e grande che cresce con lo straordinario lavoro dei volontari. C’è una medaglia d'oro che voi volontari e missionari vincete ogni giorno». La mattina a Salvador è trascorsa fra il ricordo di don Renzo Rossi, che si impegnò fin dagli anni 60 in Brasile, e la solidarietà tanto che Renzi in un post su Facebook ha scritto: «Voglio ringraziare gli italiani che fanno cooperazione internazionale in tutto il mondo: siamo orgogliosi della vostra generosità e della vostra professionalità». «Ma la vera grande novità è lo sguardo diverso lanciato sul terzo settore e sul volontariato, sono i denari in più per la cooperazione internazionale, la legge sull’autismo o sul Dopo di noi, la riforma del terzo settore, e la legge sullo spreco alimentare».

Nel pomeriggio, poi, arrivo a Rio, dove Renzi ha presenziato, con l’ambasciatore Antonio Bernardini, all’illuminazione dell’immenso Cristo Redentore. Infine, in serata (la notte in Italia) l’appuntamento a Casa Italia, il polo dello sport e del made in Italy. In questo ex club-hotel dalla grande bellezza, il premier ha potuto vedere l’Italia più bella, quella del design, delle eccellenze alimentari, tecnologiche e artistiche, quell’Italia che può dare nuova linfa al Pil.

Oggi, dopo l’alzabandiera con gli atleti azzurri al Villaggio, il premier volerà a San Paolo per incontrare la comunità italiana e domani sarà di nuovo a Rio per la cerimonia che apre i Giochi.

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