Saranno anche virtuali ma i danni all'economia e alla lotta al riciclaggio, alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale
sono reali.
Nel 2014 il Gruppo d’azione finanziaria-Financial action task force
(Gafi-Fatf), l’organismo intergovernativo indipendente che sviluppa e promuove politiche finalizzate a proteggere il sistema
finanziario globale contro il riciclaggio, finanziamento del terrorismo e della proliferazione delle armi, non ha usato mezze
misure sui bitcoin.
«Le valute virtuali e i bitcoin in particolare sono l’ondata del futuro per i sistemi di pagamento – si legge nel report –
e forniscono un nuovo e potente strumento per i criminali, terroristi, finanzieri ed evasori, consentendo loro di far circolare
e conservare fondi illeciti, fuori dalla portata del diritto».
Lanciata nel 2009, il bitcoin è stata la prima moneta virtuale convertibile decentrata, vale a dire – come ha ricordato il generale Stefano Screpanti, capo del III reparto operazioni del comando generale della Gdf il 27 aprile 2016 davanti alla Commissione finanze della
Camera – non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica e la prima “cripto valuta”.
Anonimato completo
I bitcoin sono infatti unità di conto composte da stringhe uniche di numeri e lettere che costituiscono unità di moneta e
hanno valore solo perché i singoli utenti sono disposti a pagare per loro. Gli indirizzi bitcoin, che dunque funzionano come
conti correnti, non hanno nomi o altra identificazione del cliente e il sistema non ha server o un servizio centralizzato.
E, come ha ricordato ancora il generale Screpanti nell'audizione del 27 aprile 2016, «gli operatori che offrono questo servizio
non figurano tra i destinatari della normativa antiriciclaggio non essendo quindi tenuti all'osservanza degli obblighi di
adeguata verifica della clientela, registrazione dei dati e segnalazioni di operazioni sospette».
Lo stesso concetto, appena pochi giorni prima (il 19 aprile 2016) e nello stesso consesso, era stato espresso da Claudio Clemente, direttore dell'Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia.
Operatori e utenti sono, in poche parole, totalmente anonimi e gli investigatori e gli inquirenti non hanno un “bersaglio”
da colpire.
I bitcoin sono negoziati in digitale tra gli utenti e possono essere scambiati (acquistati o incassati) in dollari, euro e
altre monete correnti o virtuali.
Chiunque può scaricare il software da un sito web per inviare, ricevere e memorizzare bitcoin e monitorare le transazioni.
Gli utenti possono anche ottenere indirizzi di bitcoin, che funzionano come conti correnti, in un servizio di portafoglio
online.
Fatf Gafi ha calcolato che entro il 2140 saranno registrati 21 milioni di bitcoin (ma ogni unità può essere suddivisa in piccole
parti) e già ad aprile 2014 aveva calcolato più di 12,5 milioni di bitcoin, per un controvalore di oltre 5,5 miliardi di dollari.
L’allarme degli organismi internazionali
Nell’ottobre 2015, con un nuovo report sui rischi del finanziamento al terrorismo, Fatf Gafi è tornato a occuparsi dei bitcoin
e ha alzato il livello di attenzione riportando un caso di scuola.
Il 28 agosto 2015 Ali Shukri Amin, dalla Virginia (Usa), è stato condannato a 11 anni di prigione per aver cospirato per fornire
materiale, supporto e risorse all'Isis attraverso il ricorso a Internet. Amin si è dichiarato colpevole l'11 giugno 2015 e
ha ammesso di aver usato twitter per fornire consulenza e sostegno a Isis e ai suoi sostenitori. Amin, attraverso twitter,
forniva istruzioni su come usare bitcoin per mascherare la fornitura di fondi per Isis e aiutava i sostenitori che volevano
recarsi in Siria per combattere.
Con l'occasione, Fatf Gafi ha sottolineato che le autorità giudiziarie di tutto il mondo sono preoccupate per l'uso delle
valute virtuali da parte delle organizzazioni terroriste. Il mondo ha visto crescere a dismisura – ricorda il report – l'uso
di siti web affiliati alle organizzazioni terroristiche per promuovere il ricorso ai bitcoin e chat tra estremisti sulle monete
virtuali. Fatf Gafi ricorda il caso di un blog collegato a Isis che proponeva di utilizzare bitcoin per finanziare gli estremisti.
I casi all’attenzione
Non era il primo caso che Fatf Gafi sottoponeva all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Nel settembre del 2013, il
Dipartimento di Giustizia statunitense portò alla luce un'indagine su Ross Ulbricht, proprietario e gestore di “silk road”
(la “via della seta”), un sito web abilmente celato, progettato per consentire agli utenti di acquistare e vendere illegalmente
e anonimamente farmaci, armi, identità rubate e altri beni e servizi illegali, svolgere traffico di stupefacenti, pirateria
informatica e riciclaggio di denaro, fuori da ogni controllo investigativo. Ulbricht è stato condannato all'ergastolo ma il
suo avvocato, l'8 gennaio 2016, ha presentato appello.
Il dipartimento di Giustizia sequestrò il sito web e circa 173.991
bitcoin, del valore di oltre 33,6 milioni di dollari. L'indagine stimò un fatturato globale, dalla sua creazione avvenuta
nel 2011, di 1,2 miliardi di dollari attraverso il ricorso a oltre 9,5 milioni di bitcoin. Le commissioni variavano dall'8
al 15% del prezzo totale di vendita.
II 7 novembre 2014, con una nuova operazione denominata “Silk road 2”, l’Fbi ha proceduto alla chiusura di un altro sito abilmente celato, con il quale il gestore aveva tentato di ripercorrere
le gesta del precedente.
L’allarme della Dnaa
Anche la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo segue con molta attenzione il filone delle monete virtuali.
Dal 10 al 13 maggio 2015 a Berlino, presso l’Ufficio federale del ministero degli Esteri tedesco si è svolto un summit europeo
nel corso del quale è stato ricordato che sono ancora molte le barriere nello scambio informativo, mentre la criminalità organizzata
fa sempre più ricorso alle moderne tecnologie informatiche per le comunicazioni. «Le investigazioni finanziarie – ha ricordato
il sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Filippo Spiezia – devono tener conto di questi sviluppi, come ad esempio la diffusione della valuta virtuale. Soprattutto, è condivisa l’esigenza
di migliorare la qualità della risposta nei casi che richiedono un approccio coordinato che coinvolge multiple giurisdizioni.
È in questo contesto che è stata concretamente esaminata la possibilità di creare un nuovo Interpol notice specificamente
finalizzato a favorire lo scambio informativo nelle procedure investigative tese al rintraccio e identificazione dei proventi
di reato».
«Il contributo italiano a questa nuova iniziativa - ha aggiunto Spiezia - è risultato decisivo, alla luce dell’esperienza
maturata nel settore, in cui sono state sperimentate le migliori tecniche con apprezzabili e riconosciuti risultati. Attraverso
il nuovo avviso Interpol sarà possibile consentire l’anticipazione, su uno dei più importanti canali di polizia, della trasmissione
di una serie di informazioni e di dati che poi saranno oggetto di specifiche richieste di assistenza giudiziaria internazionale,
nel rispetto dei trattati internazionali in materia e della legge nazionale dello Stato richiesto».
L’alert della Dia
Anche la Direzione investigativa antimafia ha acceso un faro sui bitcoin, con la relazione sul primo semestre 2016 consegnata
a Parlamento metà gennaio di quest’anno. Come sempre a capire per prima il fascino criminale degli strumento innovativi è
stata la ‘ndrangheta e, sebbene non vi siano ancora evidenze investigative svelate, quel che scrive la Dia lascia intendere
che ve ne saranno. «Il deep web e strumenti di pagamento virtuali, quali i bitcoin – scrivono infatti gli analisti della Direzione
investigativa antimafia guidata dal generale Nunzio Antonio Ferla –, che pur impattando sull'economia reale sono fuori dal
controllo delle riserve monetarie mondiali, potrebbero risultare, di conseguenza, strumenti a disposizione della ‘ndrangheta
ma anche delle altre organizzazioni mafiose nazionali che sembrano rivolgersi ai business internazionali in maniera sempre
più interconnessa».
Blog Guardie o ladri
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