Correva l'anno 2010 ed era sceso persino in campo Giorgio Toschi, all'epoca comandante regionale in Toscana e oggi comandante generale della Guardia di finanza, per sottolineare con un proprio comunicato stampa il colpo che un migliaio di finanzieri stavano portando all'economia criminale di etnia cinese sparsa in otto regioni: Toscana (con il ruolo centrale di Prato), Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Sicilia, oltre ad una puntata nell'immancabile Repubblica di San Marino.
Era il 28 giugno 2010 e, quasi sette anni dopo, nessuno avrebbe pensato che l'operazione Cian Liu (Fiume di denaro), giunta in un'aula del Tribunale di Firenze per le udienze preliminari, si barcameni tra il rischio di un processo fiume e il rischio di prescrizione per alcuni reati presupposti (ad esempio l'evasione fiscale per alcune annualità , che non impediranno comunque allo Stato di incassare le somme eventualmente pattuite per gli importi evasi alla luce degli accertamenti dell'Agenzia delle entrate).
L'attività del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, partita nel 2008, ha svelato l'esistenza di una presunta associazione
a delinquere di stampo mafioso (che dovrà eventualmente passare al vaglio di tre possibili gradi di giudizio) finalizzata
al riciclaggio attraverso contraffazione, frode, evasione fiscale, favoreggiamento della prostituzione, sfruttamento della
manodopera clandestina. Il tutto grazie, secondo l'accusa, a una rete compiacente di agenzie di money transfer.
La borsa piena
Durante un controllo di routine era stato fermato un cittadino cinese che nell'auto trasportava in un borsone 548mila euro tra contanti e assegni, diretto verso una sub agenzia di money transfer di Prato per inviare il denaro in Cina. Era – per sua stessa ammissione
– il “nero” della società tessile di Prato di cui era amministratore.
Il clamore non mancò di certo: 17 cinesi arrestati e sette italiani, 108 indagati (quasi tutti imprenditori) e 2,7 miliardi
riciclati, secondo l'accusa, dal 2006. La tecnica usata era il frazionamento delle transazioni in migliaia sotto soglia (all'epoca
era di 1.999,99 oggi è di 999,99 euro) la cui titolarità era attribuita a soggetti compiacenti o, il più delle volte, a persone
ignare o addirittura inesistenti.
Negli anni quell'operazione si ampliò. Pochi mesi dopo ne seguirono altre due: Cian Ba (Diga sul fiume) il 21 giugno 2011 e Cian Ba 2 l'11 luglio 2012 che, complessivamente,
hanno portato ad una indagine “monstre” riassumibile in questi termini. Secondo la pubblica accusa 4,5 miliardi illecitamente
trasferiti in Cina, 588 imprese cinesi che hanno accumulato e spedito all'estero proventi occulti per 300 milioni, 24 persone
arrestate, 581 persone denunciate – tra gli indagati, anche dirigenti della filiale milanese della Bank of China, la banca
di Stato della Repubblica popolare cinese – 14 agenzie di money transfer bloccate, 207 aziende cinesi sequestrate unitamente
a 283 beni e 471 automezzi per un valore complessivo di 152 milioni e, il 19 giugno 2015, la richiesta di rinvio a giudizio
per 297 soggetti, a vario titolo.
Il processo
Il Gip Michele Barillaro – deceduto in un incidente stradale in Africa il 24 luglio 2012 – in un decreto di sequestro preventivo a seguito dell'operazione
Cian Ba scrisse che la qualità del lavoro svolto dalla Gdf consentiva di «porre una diga di sbarramento alla dilagante attivitÃ
economico finanziaria cinese…».
Il 12 aprile 2016 in Commissione Finanze della Camera Giuseppe Maresca, a capo della direzione Antiriciclaggio del dipartimento del Tesoro del ministero dell'Economia, disse che «…in questi casi il trasferimento di denaro attraverso
i money transfer non è casuale o estemporaneo ma è parte necessaria dell'impianto criminoso ed è attentamente pianificato,
spesso con l'utilizzo di money transfer che potremmo definire captive, cioè operanti esclusivamente per l'organizzazione criminale».
Le udienze preliminari si stanno rapidamente succedendo (9 e 20 dicembre 2016, 25 gennaio) e a breve il pm Giulio Monferini, che ha già chiesto il rinvio a giudizio di quasi tutti gli indagati, dovrebbe replicare agli interventi dei difensori.
Il ruolo di Bank of China
Bank of China dichiara al Sole 24 Ore di aver «sempre operato nel pieno rispetto della normativa antiriciclaggio italiana
e internazionale» e spiega di aver «operato con la massima diligenza possibile, pur in assenza di una specifica normativa
che disciplinasse gli obblighi di segnalazione, quando il rapporto vedeva coinvolti due intermediari autorizzati». Bank of
China, inoltre, ribadisce di aver «sempre adottato efficaci sistemi di controllo e di aver correttamente adempiuto ai propri
obblighi informativi nei confronti delle autorità di vigilanza».
“Abbiamo sempre operato nel pieno rispetto della normativa antiriciclaggio italiana e internazionale e con la massima diligenza possibile, pur in assenza di una specifica normativa che disciplinasse gli obblighi di segnalazione, quando il rapporto vedeva coinvolti due intermediari autorizzati”
Bank of China
Per quanto riguarda i propri funzionari coinvolti nell’inchiesta, la banca ricorda che «i dipendenti non sono soggetti ad
alcuna restrizione della libertà di movimento e nessuna limitazione di tal genere è stata richiesta dalla pubblica accusa».
I magistrati ipotizzano che quattro funzionari dell'epoca della filiale di Milano di Bank of China non abbiano segnalato i
movimenti sospetti e avrebbero aiutato a coprire origine e destinazione dei fondi.
Le altre indagini
Se quello che si potrebbe celebrare a Firenze è il processo più importante, altre indagini nel corso degli anni hanno acceso
i riflettori sul rapporto tra presunti illeciti di una parte della comunità cinese e ricorso ai money transfer. In particolare
l'operazione Nemesi – tra il 7 febbraio e il 23 giugno 2014, con una coda il 3 dicembre 2014 – è stata una diretta conseguenza
delle indagini Cian Liu e Cian Ba, e ha portato alla confisca di società , immobili e auto di grossa cilindrata tra Prato e
Sesto Fiorentino per un valore di oltre 4,4 milioni.
Tra il gennaio 2011 e il luglio 2013, il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Prato, dopo una lunga videosorveglianza
di un'agenzia di money transfer, ha accertato che una dozzina di cinesi attraverso 2.500 operazioni, in 17 mesi avrebbero
trasferito illegalmente quasi 10 milioni.
In tempi più recenti, tra maggio 2014 e settembre 2015, il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Catania, ha scoperto una presunta associazione per delinquere di 60 soggetti, composta principalmente da cinesi, che attraverso il ricorso ad agenzie di money transfer avrebbe trasferito in madrepatria oltre 220 milioni.
Le rimesse e i cinesi
Le rimesse di soldi all'estero nel 2015 (ultimo dato disponibile) hanno superato il tetto dei 5,3 miliardi; erano 7,4 nel 2011. La Romania è stato il primo Paese destinatario (16,1%), seguito da Cina (10,6%) e Bangladesh (8,2%).
Il calo deriva da un apparente drastico e repentino ridimensionamento delle rimesse verso la Cina, scese dai 2.674 milioni
del 2012 ai 557 del 2015 (si vedano tabelle e grafici), con un calo di quasi l’80%. In tre anni sono scomparsi dai radar più
di 2,1 miliardi di euro. «La riduzione registrata in questi ultimi anni e la sua velocità di realizzazione – ha spiegato nell'audizione
resa il 19 aprile 2016 in commissione Finanze della Camera Claudio Clemente, direttore dell'Uif, l'Unità di informazione finanziaria – sono apparse anomale anche alla luce degli elementi disponibili e del confronto con l'Agenzia delle dogane nell'ambito
dell'attività di collaborazione con la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. L'attività svolta ha consentito finora
di accertare che almeno una parte significativa della differenza riscontrata dipendeva dalla migrazione di numerosi agenti
verso Istituti di pagamento comunitari che sono risultati meno attenti al profilo dei controlli e che non hanno contribuito
alla rilevazione statistica dei dati. In linea generale si è rilevata la capacità , che rende ipotizzabile una sottostante
organizzazione estesa ed efficiente, di cambiare con rapidità gli operatori di riferimento da parte di reti di agenti ad ogni
avvisaglia di attenzione sulla loro attività ».
«Emergono più recentemente analoghi comportamenti volti a spostare l'attività su Istituti di moneta elettronica comunitari
- ha aggiunto Clemente -. Potrebbe quindi aprirsi un possibile scenario basato sull'ulteriore asimmetria normativa tra Istituti
di pagamento e Istituti di moneta elettronica in grado di generare anche nuove scelte opportunistiche, basate essenzialmente
sull'esigenza di ridurre i costi di compliance».
L'ex sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giusto Sciacchitano, nella relazione Dia per il periodo luglio 2014-giugno 2015, consegnata in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016, proprio con riferimento alla comunità cinese scrive che non «si esclude, anzi si propende per l'ipotesi che i canali di trasferimento di provviste illecite all'estero siano stati modificati e ricalibrati rispetto alla risposta repressiva».
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