Arrivano cinque nuovi hot spot sulle coste italiane. Raddoppiano così le strutture post sbarco destinate al controllo dei migranti soccorsi. Oggi sono già operativi a Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo, il primo con 500 posti di capienza, gli altri con 400 posti. Ma al ministero dell’Interno, guidato da Marco Minniti, sono in fase di realizzazione i centri di Crotone, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza.
Gli hot spot furono chiesti a più riprese dall’Unione europea all’Italia alla fine del 2015. Roma ha risposto fino a smentire l’accusa di mancati controlli. Secondo l’Unione europea gli immigrati giunti sulle nostre coste non erano sottoposti ai rilievi di impronte digitali e foto-segnalamenti. Oggi a Bruxelles convalidano e apprezzano il dato ufficiale del dipartimento di Pubblica sicurezza, diretto da Franco Gabrielli: il 99% dei migranti è sottoposto ai controlli di rito.
Non basta, però. I nuovi hot spot non nascono a caso. In piedi c’è il problema del cosiddetto «sbarco differenziato». Quando la Guardia Costiera deve coordinare il soccorso di un numero ingente di migranti in mare, c’è poco da andare per il sottile: bisogna salvare vite umane. Le cifre di questi giorni sono un esempio ormai classico, molte e molte centinaia di disperati in arrivo in un giorno o due. D’intesa con il dipartimento delle Libertà civili e immigrazione, guidato da Mario Morcone, va pianifica con la massima urgenza il pos-place of safety, il punto di approdo per tutti gli stranieri in arrivo.
Ma non tutti i porti hanno un hot spot. Come Augusta, dove quest’anno sono sbarcati 2.228 stranieri; Catania, 1.476 persone soccorse in porto; Reggio Calabria, 872 migranti; Messina, 632 immigrati. Il ministero dell’Interno, una volta approdati gli immigrati, organizza trasferimenti in autobus per gli hot spot più vicini. E durante il primo soccorso, appena giunti in banchina, non è scontato che proprio tutti i migranti siano poi accompagnati in un centro post sbarco. Spesso le procedure sono concitate, drammatiche, e il lavoro di assistenza delle organizzazioni umanitarie resta essenziale.
Nel segnale di costruzione di nuovi hot spot, insomma, c’è soprattutto un valore politico. Ha, intanto, un certo potere di dissuasione. Se, giunto in Italia, un migrante sa di essere sottoposto a tutti i controlli di rito, l’idea di circolare in piena libertà anche verso gli altri stati europei può venir meno. Più forte, come deterrente, il progetto di Minniti di fare centri per il rimpatrio in ogni regione. Sono gli attuali Cie (centri di identificazione ed espulsione), molti in fase di ristrutturazione o allargamento. Nel decreto legge in preparazione - approderà al Consiglio dei ministri nei prossimi giorni - i Cie si chiameranno invece Cpr, appunto centri per il rimpatrio. Con una permanenza breve per gli stranieri, quella sufficiente per l’identificazione e il lasciapassare dello Stato d’origine a riportarli con un volo aereo.
I nuovi indirizzi di politica dell’immigrazione saranno spiegati da Minniti domani nell’audizione alle commissione riunite Affari costituzionali di Camera e Senato. I flussi in corso sono drammatici. Dal 1° gennaio fino a lunedì scorso sono arrivati 9.359 migranti, oltre il 50% in più rispetto al 2016 (6.030 persone) e quasi il triplo del 2015 (3.709). In accoglienza sono ospitati 175.220 stranieri. Va aggiunta la maggioranza dei 25.485 «minori non accompagnati» sbarcati l’anno scorso e altri 395 giunti nel 2017. Inevitabile per il ministro dell’Interno sottolineare l’importanza dell’intesa stipulata giovedì scorso a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il presidente del consiglio presidenziale libico, Fayez Mustafa al Serraj, accordo poi condiviso nella riunione dei capi di Stato e di Governo a Malta. La scommessa dell’Italia è di essere considerata il capofila di un’azione strategica per ridurre il flusso dei migranti: il 2016 è stato l’anno record con 181.436 stranieri approdati sulle nostre coste. E quest’anno le cifre potrebbero essere perfino maggiori stando alle tendenze in atto. È difficile un rallentamento immediato delle partenze dalle coste libiche. La speranza si ripone nella capacità - tutta da dimostrare - di Serraj di svolgere un controllo sugli arrivi dei migranti sulla frontiera sud dello stato libico.
In questo scenario il confronto tra Italia e Unione si amplia a dismisura nella discussione in atto tra spese per immigrazione e vincoli di bilancio statale. Ma, così come i nuovi Cie, l’ipotesi di nuovi hot spot non è soltanto un segnale coerente con lo slogan di Minniti «sicurezza e integrazione». Diventa soprattutto anche un’azione del Viminale in coerenza con gli obiettivi di Bruxelles. Martedì scorso lo ha sollecitato il commissario per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos davanti alle comissioni riunite Affari Costituzionali, Esteri e Politiche della Ue di Camera e Senato. E Avramopoulos ha avvertito: «Ci sono 300mila migranti pronti a partire dalla Libia».
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