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Le due facce dell’Italia nelle rinnovabili

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Le due facce dell’Italia nelle rinnovabili

(Marka)
(Marka)

Lato A: l’Italia è ancora tra i Paesi più forti nell’energia rinnovabile con aziende che fanno scuola nel mondo.
Lato B: gli investimenti italiani in energia rinnovabile si rivolgono quasi tutti all’estero, mentre in Italia le centrali elettriche invecchiano e si avvicinano all’età della pensione, centrali termoelettriche comprese.
Il nuovo rapporto Irex, decima edizione, è stato presentato a Roma e secondo gli analisti dell’Althesys guidati dall’economista Alessandro Marangoni in Italia nel 2017 c’è stato un raddoppio impressionante degli investimenti in energia pulita. I numeri del raddoppio: 13,5 miliardi di euro pari alla potenza di 13.400 megawatt contro i 6.800 megawatt di nuovi investimenti del 2016.

Un futuro difficile

I conti dell’indice Irex sono confermati dall’analisi trimestrale del sistema energetico nazionale appena divulgata dall’Enea. Un anno fa, era il 21 maggio, le centrali alimentate da sole, acqua, vento, geotermia e altre fonti pulite avevano soddisfatto addirittura l’87% del fabbisogno italiano.
Dice l’Enea che sul totale dell’energia consumata, cioè tutti i fabbisogni compresa la legna da stufa, le fonti rinnovabili sono il 19% ed è già stato stracciato quell’obiettivo futuro del 17% che l’Europa assegna al 2020.
Però, ammoniscono gli esperti dell’Enea allineati con quelli dell’Althesys che hanno curato l’Irex, l’obiettivo di arrivare al 28% nel 2030 oggi sembra remotissimo e ostico.

L’indice di Borsa

Lo studio dell’Irex contiene tre chiavi di lettura.
La prima chiave di lettura è quella borsistica per la quale l’indice era nato dieci anni fa. L’Irex era stato sviluppato da Marangoni dell’Althesys come termometro dell’andamento delle società italiane delle rinnovabili quotate in borsa (la sigla Irex sta per Italian Renewables Exchange). Ed ecco la risposta al quesito originario: nel 2017 le società contenute nell’indice Irex hanno avuto nel loro complesso un apprezzamento del +28%.
Seconda chiave di lettura
. L’indice Irex compie 10 anni, e ciò consente di rileggere il decennio passato con uno strumento uniforme di misura. Nel decennio 2008-2017 ha cambiato pelle l’intera industria elettrica italiana con 1.909 operazioni, investimenti per 94,7 miliardi. L’anno più attivo è stato il 2011 quando gli incentivi babilonesi della legge Salva-Alcoa del 2010 fecero accorrere in Italia investitori come api al miele.
Terza chiave di lettura
è l’allargarsi dello scenario. L’indice, nato per esaminare un segmento specifico, oggi consente di leggere l’intero settore elettrico e le sue tendenze. Per esempio, il fatto che le imprese italiane, mentre investono furiosamente all’estero, sono molto sobrie nello spendere a casa loro e così gli impianti invecchiano. Anche quelli termoelettrici. Molte centrali realizzate dopo il 2000 cominciano ad avere il fiatone.

Usura tecnologica

Una parte dei pannelli solari razziati sui mercati e montati in fretta e furia ai tempi degli incentivi golosi della legge Salva-Alcoa comincia a mostrare inaccuratezza costruttiva e a deperire. Ma anche le centrali eoliche e le termoelettriche, se non ricevono aggiornamenti costanti della tecnologia, sentono l’usura. Sotteso c’è un rischio di ritorno al blackout. Non mancano le centrali e le linee elettriche, come nel colossale blackout di 15 anni fa (era il settembre 2003), ma c’è il rischio che il motore del sistema italiano abbia guasti da chilometraggio.
Qualche dato sugli investimenti italiani rinnovabili 2017. In tutto sono state condotte 201 operazioni di acquisizione, fusione o di costruzione di nuovi impianti per una capacità istallata di 13mila megawatt, pari a una spesa di 13,5 miliardi di euro.

La scoperta delle Americhe

Dove si sono indirizzati gli investimenti? Più della metà delle operazioni, dice l’Irex, si svolge in Italia: il 55%, con 1,4 miliardi di euro e 1.100 megawatt di potenza, il triplo rispetto ai 400 megawatt dell’anno precedente, il 2016. Ma a dispetto dell’apparenza, non sono numeri da squilli di tromba e rulli di tamburo. Gli investimenti italiani in Italia sono stati una spolverata di tante piccole operazioni. Quando si tratta di mettere in gioco molti soldi, le aziende italiane corrono all’estero. L’88% della nuova potenza è realizzata fuori dai confini, e in particolare nelle aree a maggiore sviluppo come le Americhe, dalla Terra di Baffin alla Terra del Fuoco.

Nel panorama internazionale, le imprese italiane sono al mondo tra le più orientate verso le nuove energie. Secondo gli analisti dell’Irex guidati da Alessandro Marangoni le aziende energetiche europee si dividono in tre gruppi. Ci sono quelle più rinnovabili per loro sorte, come le aziende scandinave che si sono trovate tantissimo idroelettrico e pochissimi consumatori; ci sono quelle che restano inchiodate ai fumi di carbone e agli sbuffi di vapore; e poi ci sono le imprese in trasformazione.
I dati che classificano le imprese possono apparire falsati dal percorso di trasformazione: per esempio l’E.On sembra formidabile nella produzione di fonti rinnovabili di energia perché ha ceduto alla neonata Uniper tutte le centrali più pesanti a carbone o a energia nucleare.
In questo gruppo delle aziende in trasformazione, le imprese energetiche italiane sono tra le più audaci nel cambiare senza paura e anche in Italia cominciano a farsi strada impianti rinnovabili che affrontano il mercato puro senza bisogno di incentivi e di altre oliature.
Ormai la strada è segnata, e in Europa è rinnovabile l’85% dei nuovi megawatt istallati nel 2017.

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