Elettricità pulita, ecco in pochi punti che cosa contiene la bozza di decreto. Una borsa per negoziare gli scambi di chilowattora puliti. Incentivi fra i 70 e i 140 euro per mille chilowattora — più bassi per le tecnologie consolidate e redditizie e più appetitosi per le tecnologie sperimentali — facendoli precipitare a 5,8 miliardi l’anno contro i 14,2 miliardi che gli italiani hanno pagato nelle bollette elettriche nel 2016. Incentivi messi in gara tramite aste al ribasso per i grandi impianti, altrimenti l’iscrizione a registri per gli impianti di dimensioni medie, oppure una tariffa onnicomprensiva per gli impianti minori.
Le 23 pagine dello Sviluppo economico
Da mesi il mondo delle fonti rinnovabili attende di sapere come si articolerà il sistema degli incentivi. Le indiscrezioni sul decreto hanno animato i dibattiti e hanno generato illusioni. Finalmente è pronto il testo dello Sviluppo economico, 23 pagine allegati compresi. Il testo, anche se nella sostanza ha raggiunto la completezza, potrebbe cambiare ancora; questa versione finale va concertata con il ministero dell’Ambiente, deve essere discussa dalla Conferenza Stato-Regioni e deve essere notificata a Bruxelles per accertare l’assenza di aiuti di Stato. Il decreto riguarda fino al 2020 quello che i tecnici definiscono con la sigla Fer, fonti elettriche rinnovabili, cioè l’energia pulita destinata a correre sui fili della corrente come l’eolico, il solare fotovoltaico, l’idroelettrico e così via. Non riguarda invece le energie rinnovabili con altri utilizzi, come il biodiesel o la benzina all’alcol, i pannelli solari scalda-acqua, il metano da fermentazione.
Gli obiettivi del decreto
Tre gli obiettivi del decreto. Ridurre l’impatto dell’energia sull’ambiente, ridurre la dipendenza dall’importazione di combustibili usando risorse come il vento o il sole, rendere più leggere le bollette degli italiani. Sono obiettivi della Sen 2.0, la nuova edizione della Strategia energetica nazionale adottata dal Governo nell’autunno scorso.
L’obiettivo di spesa totale di incentivo è fissata in 5,8 miliardi di euro l’anno (articolo 1), meno della metà di quanto oggi gli italiani pagano di incentivi attraverso la voce A3 delle bollette elettriche. Nel 2015 in media l’incentivo italiano si aggirava sui 179 euro per mille chilowattora, con il primato di 287 euro per alcune tipologie di fotovoltaico.
I dettagli
Il sussidio durerà dai 20 ai 30 anni secondo le dimensioni dell’impianto da aiutare. L’aiuto sarà sobrio per le tecnologie ormai allineate con il mercato elettrico mentre resterà un po’ più generoso per le tecnologie innovative con «costi fissi ancora elevati e tempi maggiori di sviluppo», come l’eolico in alto mare, il solare termodinamico o la geotermia a bassa entalpia.
Per gli impianti di dimensioni maggiori della potenza di 1 megawatt saranno bandite «procedure competitive di aste al ribasso per la definizione del livello di incentivazione». Per gli impianti di potenza inferiore a 1 megawatt saranno allestiti registri cui iscriversi. Per i piccoli impianti sotto i 100 chilowatt resta la tariffa semplice onnicomprensiva. L’incentivazione non è prevista per gli impianti con potenza minore di 20 chilowatt, cioè il classico “tetto fotovoltaico”.
Qualche dettaglio sulle aste al ribasso. I bandi per le procedure d’asta e per i registri saranno gestiti dalla Spa pubblica Gse a partire dal 30 novembre 2018 con apertura ogni 30 marzo, 30 novembre e 30 luglio dei prossimi tre anni. Per eolico e fotovoltaico le aste avranno un tetto di 4.800 megawatt; per idroelettrico, geotermia, gas da discarica e da depuratori la disponibilità di incentivi si fermerà a 245 megawatt; per il rifacimento di impianti già esistenti il tetto di aiuti da non superare è 490 megawatt.
Nella formazione delle graduatorie degli investimenti cui assegnare il sussidio la preferenza andrà all’intelligenza del progetto come gli impianti costruiti sulle discariche oppure come gli impianti geotermici che riniettano nel sottosuolo i fluidi che ne erano stati estratti.
Vietati i ritardi: gli incentivi saranno assegnati solamente a chi avvia gli impianti entro tempi definiti, come i 19 mesi per l’eolico a terra, i 31 mesi per l’idroelettrico o i 60 mesi per le centrali geotermiche. È probabile che il ricatto del consenso politico, i comitati Nimby e i ricorsi al Tar possano far morire diversi progetti.
L’aiuto tariffario calerà leggermente nel tempo (l’1% l’anno) e ci sono altre riduzioni nel caso di ritardi e nel caso di contributi in conto capitale.
Il parere della Legambiente
Qualche commento. Arriva con «grave ritardo ma ora si acceleri approvazione ascoltando le proposte degli operatori e aprendo la strada all’autoproduzione e distribuzione locale da fonti rinnovabili», dice Edoardo Zanchini, vicepresidente della Legambiente.«Grave che si sia arrivati solo a fine legislatura all’approvazione di un provvedimento che dovrebbe spingere interventi già nel 2018, ma che invece vedrà solo a novembre di quest’anno aprire le aste e i registri previsti, ritardando molto quegli investimenti necessari a far ripartire le
installazioni nel nostro Paese».
Il Coordinamento Free
Preoccupato il Coordinamento Free che riunisce operatori delle fonti rinnovabili elettriche: il decreto «non potrà diventare operativo prima di metà 2018» mentre «non si applica a biomasse, biogas, eolico off-shore, geotermia innovativa, solare termodinamico, per cui le misure a loro favore vengono rinviate a un successivo decreto». Gli operatori chiedono anche aste separate per eolico e fotovoltaico: che vengano promosse le tecnologie più recenti; che gli impianti su discariche, cave e tetti di eternit siano obbligati al risanamento; che sia consentito realizzare impianti anche sulle aree agricole, se non impattano sulle colture.
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