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Pisani-Ferry: perché la Francia non violerà le regole sul deficit

Un anno fa, a Milano, l’incontro con Jean Pisani-Ferry, uno dei più noti e importanti economisti francesi, si era tradotto in una bella e approfondita discussione sulle prospettive di riforma dell’Eurozona. Francia e Germania, disse al Sole 24 Ore in quell’occasione, avrebbero dovuto compiere una sintesi partendo da posizioni distanti, ma non inconciliabili, su come bilanciare responsabilità e condivisione dei rischi. C’era un ottimismo, ragionevole e temperato: Macron era già in calo evidente di popolarità; Angela Merkel era uscita malconcia dalle elezioni di settembre, ma la prospettiva di un soddisfacente accordo franco-tedesco stava ancora in piedi.

In dodici mesi la situazione è peggiorata in modo drammatico e il fotogramma più scioccante di questo dramma sono le proteste, e poi le violenze, dei “Gilet Gialli”. Jean Pisani-Ferry è professore di economia a Sciences Po e durante la campagna presidenziale del 2017 è stato consigliere di Emmanuel Macron nonché, in parte, autore del suo programma economico.

Professore, che cosa pensa delle riforme annunciate dal presidente Macron? Basteranno a placare la rabbia dei “Gilet Gialli”?
Penso che quanto da lui annunciato sia sufficiente a segnare un punto di svolta. Con la protesta dei “Gilet Gialli” abbiamo assistito a una manifestazione di profondo risentimento della classe media e della classe operaia. Nonostante la crescita economica degli ultimi dieci anni, il reddito reale è rimasto stagnante perché è aumentato il numero di famiglie con anziani e genitori monoparentali. L’insicurezza economica è quindi cresciuta e la mobilità sociale si è rivelata insufficiente. La carbon tax ha esacerbato la spaccatura tra due parti del Paese: da un lato quelli preoccupati di non riuscire ad arrivare alla fine del mese; dall’altro quelli preoccupati della cosiddetta fine del mondo.

Sì, ma mi interrogo sull’efficacia di misure come la detassazione degli straordinari, già sperimentata senza grande successo nel recente passato, e l’aumento di 100 euro del salario minimo.
Si tratta di affrontare problemi strutturali, che non si possono cancellare con un tratto di penna. Era chiaro che non sarebbe bastato solo posporre o cancellare la carbon tax. La gente vuole risposte nel breve termine. Sono comunque convinto che il pacchetto di misure annunciato questa settimana risulterà in un visibile miglioramento della situazione per i lavoratori meno qualificati e per i pensionati.

Queste misure avranno però un costo e peseranno sul deficit francese, che di conseguenza nel 2019 eccederà abbondantemente il 3% del Pil.
Sul piano tecnico la Francia è uscita dalla procedura per deficit eccessivo dopo che il disavanzo nel 2017 era stato portato al 2,7 per cento. Nel 2019, un credito d’imposta per le imprese introdotto nel 2013 sarà trasformato in un taglio diretto dei contributi. Questo cambiamento si tradurrà in un aumento one-off del deficit pari allo 0,9% del Pil. Prima delle misure annunciate da Macron la Commissione Ue si attendeva un deficit nominale del 2,8%, mentre quello strutturale sarebbe stato dell’1,9 per cento. È importante spiegarlo perché il caso francese è entrato nel vivo del dibattito politico italiano sulla manovra del 2019. Supponiamo che queste misure abbiano un costo netto di 10 miliardi. Ciò porterebbe il deficit nominale al 3,3% e quello strutturale al 2,4%, ben al di sotto del tetto del 3 per cento. Per questo non vedo le basi legali per una nuova procedura di deficit eccessivo contro la Francia. Cionondimeno la Commissione monitorerà con grande attenzione la dinamica dei conti pubblici francesi.

Questo sul piano tecnico, ma su quello politico? Avrà visto come in Italia si sono levati subito i cori sul doppiopesismo di Bruxelles, pronta a chiudere un occhio forse due sullo sforamento francese...
Sul piano politico, il ruolo della Commissione non è quello di appoggiare il presidente Macron o il capo di Stato o di governo di qualsiasi altro Paese. Bruxelles deve valutare la sostenibilità dei conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona. Il Patto di Stabilità prevede margini flessibilità, ma sulla base di determinati criteri. Credo che non si debbano mettere sullo stesso piano Paesi che introducono riforme a favore della crescita con Paesi che invece non compiono sforzi per aumentare la crescita potenziale o addirittura adottano misure che riducono tale crescita potenziale. Le misure annunciate da Macron sono positive per l’economia crescita poiché dovrebbero contribuire ad accrescere la partecipazione al mercato del lavoro.

Chiudo con una considerazione, ispirata da quanto letto di recente su certa stampa conservatrice tedesca, e cioè che adesso la Francia rappresenta un rischio per l’Europa. Al tempo delle riforme di Schröder non mi ricordo di aver mai letto che la Germania rappresentasse un rischio per l’Europa.

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